Opus Ludere, l’intervista: tango siculo-argentino e contaminazioni

Opus Ludere

Una commistione raffinata e unica, quella tra Sicilia e Argentina; l’arcaicità di una terra che non smette di produrre suggestioni e l’America Latina: cosa c’è di più sensuale? Gli Opus Ludere ci restituiscono questo connubio rarefatto, con le loro sonorità sanguigne ed eleganti.
A loro la parola.

Opus Ludere, intervista

La vostra musica è sanguigna, raffinata ed elegante: quanto affonda le radici nella Sicilia? Che rapporto di contaminazione c’è tra la Sicilia e l’Argentina e che lavoro avete fatto, per renderlo al meglio?

Il rapporto tra Sicilia (Italia, in generale) ed Argentina fonda le sue radici nelle grandi migrazioni a cavallo tra XIX e XX secolo, nella dignitosa povertà nutrita di speranze e, sovente, successi futuri. Il tango è un calderone di stili non privati di unicità e fascino ove modellati da creatori geniali e originali. In Argentina il genere nacque con flauto e chitarra.
Per noi tutto ebbe inizio con Histoire du Tango, tra i capolavori di Astor Piazzolla. I compositori che hanno accettato il nostro invito a scrivere per Opus Ludere hanno espresso ciò che abbiamo definito “eufonia creativa”, un insieme di scritture, esperienze e provenienze, derivazioni colte e popolari, tutto amalgamato per giungere “al cuore delle origini “polverose” e oscure del tango, simbolo dell’unica memoria che rimane del tempo che travolge tutto. La sicilianità è nel suono: caldo, non pesante.

La domanda più banale, o forse la più difficile: chi sono gli Opus Ludere e come si racconterebbero a chi non li conosce affatto? Raccontateci brevemente la vostra storia, dagli albori ad ora.

Il nome del duo nasce da due parole che ci rappresentano in egual modo: lavoro e divertimento. Proponiamo un approccio non rigido nei confronti della cosiddetta “musica colta”, avvicinandoci al pubblico in modo simpatico (si spera) e abbattendo la “quarta parete” senza scadere nella banalità.
Ci siamo conosciuti circa 10 anni fa (all’epoca il nostro flautista Domenico vantava ancora una folta chioma) collaborando all’interno di svariate formazioni cameristiche. In seguito, decidemmo che era arrivato il momento di “mettersi in proprio” o, più semplicemente, rimanemmo soli.
L’impostazione classica di Domenico, frutto di innumerevoli esperienze orchestrali e cameristiche, ha aiutato ad interpretare partiture il più delle volte complesse e articolate. L’interesse per i linguaggi contemporanei, coadiuvato da una provenienza borderline di Davide, ha reso evidenti gli elementi extra-colti del repertorio. Dunque, il nostro percorso comincia dalle ultime tendenze moderniste del tango europeo, riscoprendo composizioni mai o raramente incise, inseguendo non solo una solidità tecnico-performativa, bensì la lettura “duale” delle partiture canoniche.
Non è semplice “dedicarci” del tempo per progettare, ricercare, stimolare (minacciare) i compositori, provare, scoprire et similia, a causa di impegni lavorativi e familiari o, sovente, il risiedere in luoghi diversi. Eppure, lo abbiamo sempre trovato, ritagliandolo con cura.

Di che concezione gode il tango in Italia? Esiste una cultura del tango e in che modo andrebbe incentivata, secondo voi?

Aujourd’hui, il termine Tango sembra riferirsi soltanto al ballo. Opus Ludere invece ne indaga aspetti esecutivi e compositivi. Il disco è una sequenza di composizioni di autori del calibro di Joe Schittino (uno dei compositori italiani più apprezzati al mondo, attuale direttore dell’Istituto musicale Vinci di Caltagirone), Andrea Amici (romano di nascita, siciliano d’adozione, in prima mondiale davanti alla Royal Family con una composizione dedicata alla regina Elisabetta), Francesco Santucci (frequenti le sue presenze in Rai; nel 2018, tra l’altro, con Sting a Sanremo) e Roberto Di Marino (diploma in composizione, musica corale e direzione di coro, jazz e arrangiamento per windband, insegnante al Conservatorio di Verona). Tango d’ascolto e d’autore, dieci brani affascinanti che offrono nuove prospettive perchè nati da diverse scritture: questo il segreto di un lavoro unico nel suo genere.
A proposito della eufonia creativa che caratterizza El Tango, sottolineiamo che le composizioni presentano elementi musicali sempre nuovi, movimenti contrastanti, “dialetti” frizzanti e variegati. L’estro imprevedibile del multiforme ingegno di Schittino, i sognanti metasignificati di Amici, la voluttuosa carnalità dell’“usignolo” Santucci. Ciascuno a suo modo parte di un unicum discografico: Uno, nessuno e centomila volti di un genere che, parallelamente al duo, è in continua evoluzione.

Le soddisfazioni maggiori del vostro lavoro?

Il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me.
Ci ha fatto tanto piacere ricevere le attenzioni della BBC Radio, Rai Radio1, Fab Radio International, Radio Classica e Radio Popolare.

Cosa consigliereste a un giovane musicista che si accinge a voler suonare tango?

Studio matto e disperatissimo. Al netto delle cialtronerie, Rome wasn’t built in a day, pazienza, idee, fantasia e, soprattutto, i grandi classici.

Progetti futuri?

El Tango 2, abbiamo già delle nuove composizioni dedicateci da Andrea Amici, Roberto Cipollina, Valentino Favoino e Victor Frost. All’interno del prossimo disco ci sarà anche una sorpresa alla quale stiamo lavorando proprio con il maestro.

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A proposito di Monica Acito

Monica Acito nasce il 3 giugno del 1993 in provincia di Salerno e inizia a scrivere sin dalle elementari per sopravvivere ad un Cilento selvatico e contraddittorio. Si diploma al liceo classico “Parmenide” di Vallo della Lucania e inizia a pubblicare in varie antologie di racconti e a collaborare con giornali cartacei ed online. Si laurea in Lettere Moderne alla Federico II di Napoli e si iscrive alla magistrale in Filologia Moderna. Malata di letteratura in tutte le sue forme e ossessionata da Gabriel Garcia Marquez , ama vagabondare in giro per il mondo alla ricerca di quel racconto che non è ancora stato scritto.

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