Synthagma Project: Onirica, esperire, misurare… il suono

Un disco “vecchio” per la cronaca discografica, forse… forse per i più attenti alle mode del giornalismo. Ma chi l’ha detto che i dischi hanno un tempo? L’opera invece il tempo lo congela ed è per questo che resta immortale… E poi un disco come “Onirica” che continua a far parlare di se, sembra fluttuare dentro visioni che non so bene se provenire dal medioevo o dal futuro distopico in cui tutti torneremo alle radici. Eccovi i Synthagma Project, progetto di ricerca musicale, di letteratura musicale soprattutto e poi anche di evasione dalle forme conosciute. Disco uscito per la RadiciMusic che tanto preme l’acceleratore su produzioni come questa che spulciano nella storia di tutti i tempi… così i Synthagma P. ripescano anche da testi antichi del 1600 per cercare la voce da dare al loro suono, mescolando l’elettronica a strumenti medievali, approdando in liquide improvvisazioni come “Fragments”, piccolo inciso dentro un disco al cui ascolto si deve dedicare il tempo che non è certo il tempo violento di questo consumismo sfrenato. Si fa cultura… e noi cerchiamo di addentrarci un poco di più…

Con “Onirica” conosciamo un altro aspetto della musica che spesso ci viene precluso. Spesso, troppo spesso, la comunicazione di massa si ferma su canoni ben precisi. Secondo voi perché?

 Purtroppo viviamo in tempi frenetici dove tutto deve essere “fast”, veloce. La comunicazione di massa ci ha permesso di attingere ad una quantità incredibile di informazioni e di spostarci in un attimo in ogni angolo del mondo. Ma tutto ciò, per forza di cose, avviene molto spesso in modo superficiale per cui non c’è tempo per soffermarsi su un quadro, riflettere su un libro o immergersi nella musica. Tutto deve essere vissuto (ma ne siamo sicuri?) in un attimo per poi passare ad altro. Per la musica ciò è stato ancora più penalizzante in quanto spesso essa viene relegata al ruolo di colonna sonora “mentre facciamo altro”: abbiamo rinunciato alla magia di quella sorta di rito nel “maneggiare” il vinile o il Cd, si è persa la curiosità di sfogliare e leggere un booklet mentre abbiamo acquisito una sorta di pigrizia mentale nel cercare cose nuove. Questo è dovuto certamente ai nuovi supporti “usa e getta”, ma nel nostro Paese, riteniamo, anche alla diseducazione musicale che si è perpetrata negli ultimi decenni che ha portato spesso ad un appiattimento verso standard prefissati e di qualità artistica non eccelsa. Noi saremo sognatori, ma non ci vogliamo rassegnare a questa logica in quanto fortunatamente c’è sempre una parte di pubblico che non si accontenta di un ascolto “mainstream”.

In uno stesso lavoro troviamo scritture antiche come i “Carmina Burana” e poi improvvisazioni vostre, inedite. Come si collegano concettualmente e artisticamente questi due estremi, concettuali e temporali?

Uno dei versi tratti dai “Carmina Burana” recita: “In terra summus rex est hoc tempore nummus” (Sulla terra in questi tempi il denaro è re assoluto). Questo per dire che nel corso dei secoli certi concetti, certe paure e difetti dell’uomo nella sostanza sono rimasti invariati: magari espressi in modo diverso o ingabbiati dalla nostra parte più razionale ma sempre presenti a livello ”Onirico”. La presenza di uno strumento “millenario” come la ghironda, che si è evoluto nel corso dei secoli in modo notevole, crea sicuramente un ponte diretto tra la nostra epoca e quella medievale. Inoltre l’uso di accordature aperte sulla chitarra, delle scale modali e di un approccio molto più libero, si potrebbe dire quasi jazzistico rispetto alla musica del periodo barocco e romantico, non fanno che  avvicinarci ulteriormente a questa epoca. Come si dice, spesso gli estremi si toccano.

Dalle note di stampa richiamate molto il prog anni ’70. Nello specifico il riferimento è anche nel modo di presentarvi graficamente al pubblico. Perché questa scelta?

 Gli anni ’70 sono stati tra i periodi più prolifici per la musica dove quei semi che avevano iniziato a germogliare alla fine degli anni ‘60 (due dischi su tutti: “Sgt. Pepper’s…” dei Beatles e “In the Court…” dei King Crimson) sono arrivati alla loro completa maturazione. C’era voglia di sperimentazione e contaminazione tra generi diversi, senza preclusioni. Il  progressive è stato quindi il genere con il quale ci siamo formati musicalmente, seppure in “ere” diverse ed è stato il punto di partenza per questa nuova avventura: cercare di creare immagini e sensazioni con il suono, prima ancora che con la parola, dove la parte grafica e visuale non deve essere solo un accessorio della musica, ma deve costituire una parte integrante di tutto il progetto. Questa, tra l’altro, è una costante di tutti i nostri progetti sin dagli inizi.

Brani e scritture che nascono da cosa? Da un’idea di suono, da un’idea di “come” trasformare una ghironda, da un’idea vocale…

 La genesi dei nostri brani è abbastanza varia. Volutamente non vogliamo usare dei cliché predefiniti, ma essere liberi di muoverci a tutto tondo. Per cui un brano può nascere da un testo che ha evocato in noi delle immagini sonore, da un semplice suono che ci ha ispirato una particolare atmosfera o da una sequenza armonica da cui è partita un’improvvisazione. Questo vale anche per la voce: in alcuni casi è stata inserita sulla traccia strumentale completa in modo da permettergli la massima ispirazione, mentre in altri è stata lei la base di partenza per la costruzione del brano. Alla base di tutto ciò, comunque, c’è la “necessità” di sperimentare suoni nuovi, di trovare soluzioni che vadano oltre a quanto fatto in precedenza.

E parlando di voce, il mix di questo disco pone chiaramente una direzione artistica precisa. Mi rimanda a scenari favolistici, epici addirittura. Medievali anche… che ci dite?

 “Onirica”, come ogni “opera prima” d’altronde, è un lavoro abbastanza variegato dato che i brani sono stati composti in un arco temporale relativamente lungo. La presenza di chitarre, ghironda, delays e looper avrebbe potuto indirizzarci in modo più prevedibile verso un tipo di musica esclusivamente strumentale. L’inserimento della voce, da questo punto di vista, è un’ulteriore sfida che ci siamo preposti in quanto apre le porte a scenari sonori completamente diversi. I richiami medievali sono inevitabili, data la presenza di due brani come “Tempus est jocundum” e “Voi ch’amate”. Per quello che riguarda le atmosfere “favolistiche” se ci sono, non sono state cercate: magari è un retaggio che ci portiamo dietro dall’esperienza InChanto e che ha bisogno di tempo per essere superato. In realtà in generale abbiamo cercato delle sonorità più oscure, quasi dettate dalla confusione e dalla crisi di questa epoca senza più certezze.

A chiudere: anche il video di “Fragments” è decisamente “epico”. Perché la scelta di questo brano, di questa diapositiva…? Tra l’altro questa è una vostra improvvisazione o sbaglio?

Si, “Fragments” è nato quasi per caso giocando con le attrezzature in studio. L’abbiamo scelto perché…è il brano più corto del Cd. Scherzi a parte, i nostri testi sono abbastanza criptici, non hanno “storie da raccontare” ma piuttosto vogliono evocare immagini. Quindi con il video abbiamo voluto cogliere proprio questo aspetto del nostro lavoro creando un’atmosfera che permettesse all’ascoltatore di venire subito in contatto con il nostro mondo.

Paolo Tocco

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