The words I Didn’t say di Fabio Cicala-Intervista

The words I didn't say, il nuovo singolo di Fabio Cicala- Intervista al musicista

Fabio Cicala, artista eclettico originario di Caianello, un paesino in provincia di Caserta, ci accompagna alla scoperta del suo nuovo singolo The words I didn’t say, che sarà disponibile su tutte le principali piattaforme digitali a partire dal prossimo 14 febbraio.

Fabio si laurea in scenografia all’Accademia di Belle Arti di Napoli sotto la guida di Antonio Capuano. Dopo aver iniziato a suonare da autodidatta, scopre la chitarra durante l’adolescenza, ispirato da Jimi Hendrix, e prosegue il suo percorso musicale da solo.

Trasferitosi a Londra, trasforma la sua passione in professione esibendosi inizialmente in un ristorante e poi come artista di strada e per eventi privati, sviluppando al contempo le sue prime composizioni. Parallelamente, lavora come comparsa in film hollywoodiani e produzioni indipendenti, e tra il 2019 e il 2020 registra le sue prime opere presso gli Abbey Road Studios.

Nel 2022 partecipa al musical The Way Home, dedicato alla comunità italiana a Londra. Fabio vive la musica come strumento di crescita personale e spirituale, e divide la sua attività artistica tra Italia e Regno Unito.

Di seguito l’intervista incentrata sulla genesi del nuovo singolo The Words I didn’t say.

1. The words I Didn’t Say nasce da un colpo di fulmine avuto su un set cinematografico. Come ha trasformato quell’esperienza in musica?

«È stato per puro caso… o per una sincronicità, a seconda delle nostre credenze!
Infatti, durante una delle mie prove per l’esibizione in un locale, mentre provavo l’introduzione di Careless Whisper di George Michael, improvvisamente pensai al mio colpo di fulmine, e dopo i primissimi secondi, le mie dita e la mia mente, deragliarono in altri tipi di sonorità».

2. Nel suo nuovo singolo emergono sonorità minimali e ipnotiche, influenze barocche e accenni al rock progressivo anni ’70. Com’è riuscito a unire generi così diversi in un’unica composizione? Quali sono state le sfide maggiori di questa ricerca musicale?

«Essendo prevalentemente un’autodidatta, credo che questo mi aiuti ad avere un approccio più spregiudicato nei confronti delle regole musicali, quindi posso concentrarmi sull’espressione sonora, per poi cercare di capire se mi stia muovendo nella giusta direzione. Nel brano ho ricercato l’efficacia nell’uso minimale delle note, in modo che enfatizzassero i cambi di accordi e di registro con semplicità. La maniera migliore per farlo, in quel momento mi è sembrata una combinazione di arpeggi e accordi, su scale minori melodiche. È stata la stessa tonalità in La minore, della canzone da cui sono partito, a ispirarmi questa combinazione. Il riff, o l’ostinato, in gergo classico, è d’impronta baroccheggiante, in uno stile molto utilizzato anche nell’heavy metal neoclassico, che sempre mi affascina. Il giro armonico si sviluppa soprattutto su intervalli di quarto e di quinto grado, tranne per il bridge, ispirato al rock progressivo degli anni ‘70, costruito su intervalli di primo grado ascendenti, di cui ne arpeggio gli accordi, arricchendo il brano di una ieraticità psichedelica. Questa parte è nata con la volontà di smorzare la drammaticità della melodia. Per la spregiudicatezza delle composizioni, tra gli altri, apprezzo molto Tommy Emmanuel e Vangelis, autodidatti come me, mentre invece per la consapevolezza dei passaggi cromatici Joe Pass, Steve Vai, i Casiopea, e il nostro Pino Daniele. Inoltre, in questa circostanza, non posso non menzionare la mia fascinazione per Demetrio Stratos, Yngwie Malmsteen, ELP».

3. Il suo singolo è inserito in un progetto musicale composto da 9 brani registrati tra gli iconici Abbey Road Studios e Soho Sonic Studios. Quanto ha influito lavorare in ambienti così prestigiosi sulla sua visione artistica e sul suo approccio alla composizione?

«È stata un’esperienza molto forte sotto tanti punti di vista… C’erano turisti provenienti da ogni parte del mondo, fermi all’ingresso degli Abbey Road Studios, e sempre pronti a scattare foto a tutte le persone che vi entravano o vi uscivano, poi il personale e i tecnici sono stati assai gentili con me, facendomi sentire subito molto coccolato. Camminare in quegli ambienti così prestigiosi, mi ha donato una grande sicurezza in me stesso, e la voglia di realizzare qualcosa di particolare e memorabile. L’energia degli iconici studi, mi ha anche ispirato varie improvvisazioni, alcune delle quali le ho lasciate nelle registrazioni finali».

4. Oltre alla musica, ha una carriera parallela nel cinema e nel teatro, come dimostra la sua partecipazione al musical The Way Home e a vari film hollywoodiani. Queste esperienze multidisciplinari arricchiscono la sua musica? Ci sono punti di contatto tra il Fabio musicista e il Fabio attore?

«Credo che i punti di contatto tra il Fabio musicista e il Fabio attore, siano da ricercare nel mio percorso di studi, che va dal Liceo Artistico di Cassino e Napoli, all’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove ho studiato Scenografia sotto la guida del regista Antonio Capuano. La mia è un’immaginazione fortemente visiva, cominciata quand’ero bambino e guardavo gli anime giapponesi, o i cartoni animati americani, per poi disegnarli… Quando compongo un brano musicale, lo concepisco come un’insieme di forme e colori, un racconto visivo; quando lavoro a un personaggio, mi concentro prima sulle espressioni facciali e le posture chiave, ispirate alle arti visive, poi sui suoni e le tonalità chiave, per dar vita alla “partitura vocale”. Vivendo per gran parte dell’anno a Londra, che è una Napoli su larga scala sotto molti aspetti, ho la fortuna di guizzare da un’esperienza creativa a un’altra, e anche quella di essere a contatto con artisti di vario tipo, provenienti dai generi e da tradizioni artistiche più variegate. Ho la fortuna di vivere e di ascoltare storie straordinarie, che vanno a influenzare le tematiche e le sonorità delle mie composizioni, che fanno entrare in relazione elementi all’apparenza contraddittori».

5. In “The Words I Didn’t Say” esplora il concetto di colpo di fulmine non come una perdita, ma come una guida per la crescita personale e spirituale. Qual è il messaggio che vuole trasmettere al pubblico con questo brano? Cosa si aspetta da questo suo progetto musicale?

«Vorrei invitare il pubblico a non fare scelte dettate dall’impulsività o dalla comodità, soprattutto se si tratta di un tema così importante come l’amore. Personalmente, non credo nel detto che dice che il treno delle opportunità, di qualunque tipo, passi una sola volta nella nostra vita, ma che siamo noi ad attrarne uno sempre più adatto, man mano che progrediamo nel viaggio di crescita personale e spirituale. Se proviamo a diventare consapevoli di tutte le scelte che facciamo, anche le più banali, riusciamo a dare il giusto peso, e la giusta collocazione, alle esperienze, e alle persone che attraversano la nostra vita. Perciò ho esplorato il colpo di fulmine, che vuole scardinare le nostre certezze sentimentali, come una guida agli elementi e alle attitudini assenti dalle nostre vite in quel momento, ma che noi riconosciamo nell’altra persona o che essa porta alla luce. Spero che molte persone possano riconoscersi in questa visione, e ovviamente, che apprezzino il mio brano dal punto di vista musicale. Spero inoltre che il mio brano mi aiuti a gettare le basi per collaborazioni con artisti di vario tipo».

Fonte immagine: Ufficio stampa

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