Wood è il primo frutto dell’incontro tra Noklan e Rome In Reverse, due producer distanti per provenienza ma affini nella visione. Lui napoletano, lei residente in Danimarca. Insieme danno vita a un brano che intreccia glitch, synth cinematici e texture granulari, muovendosi tra ritmo e sospensione, tra organico e digitale.
Pubblicato da Phonotype Records, la storica etichetta partenopea, Wood è il punto di partenza di una collaborazione internazionale che sfida confini e categorie. Un equilibrio instabile, emotivo e istintivo, che riflette non solo due identità artistiche, ma anche un modo diverso di intendere la musica oggi: come atto libero, necessario e profondamente umano.
Abbiamo intervistato i due artisti per capire come è nato questo progetto, e viverlo attraverso gli occhi degli autori.
Intervista
“Wood” nasce dall’incontro tra due visioni sonore molto diverse e due territori distanti: quanto c’è, nel vostro lavoro, di dialogo tra mondi che spesso sembrano non comunicare?
Oltre i mondi ci sono le Persone e tra di noi il dialogo e il confronto personale e musicale è iniziato pochi istanti dopo che ci hanno presentato, certo però non era scontato che ciò portasse a qualcosa di soddisfacente ed emozionante per entrambi.
In tempi in cui il concetto di “confine” torna ad essere centrale, voi scegliete la collaborazione internazionale, la contaminazione, l’ascolto reciproco. Che significato assume oggi, per voi, una partnership artistica tra Napoli e la Danimarca?
Sinceramente il termine “Confine” crediamo che attualmente abbia solo una valenza politica, spesso insana ed escludente. Non è una collaborazione tra Napoli e Copenaghen, ma tra due persone che potrebbero anche collocarsi altrove.
Avete parlato di “equilibrio instabile” e “contrasti” nella creazione del brano. Pensate che l’arte possa ancora permettersi di restare in bilico, senza cedere alla semplificazione o all’omologazione?
Non saremmo in grado di farlo diversamente, senza giudicare se questo sia un bene o un male, ma nessuno dei due proviene da percorsi accademici o da carriere come turnisti per altri musicisti, abbiamo sempre prodotto musica in questo modo, come esigenza personale ed emotiva.
Phonotype è la casa discografica più antica d’Italia, eppure scommette su un progetto così sperimentale. È un segnale? Forse che il futuro può, o deve nascere proprio dal recupero del passato?
Essere la casa discografica più antica d’Italia e tra le più antiche d’Europa è già la risposta, significa essere stati tra i primi a investire sulla musica e quindi a guardare sempre al futuro non al passato .
Le vostre architetture sonore sembrano riflettere non solo paesaggi interni, ma anche tensioni esterne. In che modo l’ambiente in cui vivete urbano, naturale o sociale — filtra dentro il vostro processo creativo?
I paesaggi sonori interni sono sicuramente un mix di tutto quello che arriva dall’esterno filtrato poi dalla propria sensibilità, crediamo che questo valga un po’ per tutti, ma nel nostro caso c’è una particolare attenzione a tutto quello che è Urban, attraverso l’uso di campionamenti e field recording.
In “Wood” emerge un senso forte di transizione, trasformazione, movimento. C’è una riflessione implicita sul cambiamento, non solo musicale, ma anche culturale?
Sia personalmente che insieme tendiamo a non programmare il suono o il mood di un brano, almeno non in maniera cosciente e consapevole, procediamo in maniera molto istintiva, quindi non crediamo ci sia stata una riflessione di questo tipo alla base di Wood, ma ciò non toglie che sia l’inizio di qualcosa di diverso.
Oggi, essere artisti indipendenti, cosa significa davvero? È ancora un atto creativo… o è diventato anche un gesto di resistenza?
Considerando il sistema musicale attuale, lo streaming, poche location per suonare, una politica sempre più restrittiva, specie in Italia, ma non solo, fare musica è proprio un gesto d’amore puro e quindi si anche di resistenza.
fonte immagine: ufficio stampa