C’è una forma di libertà, rara e luminosa, che germoglia quando si crea per diletto. Non per lavoro, non per urgenza di consenso, né per ragioni di profitto. È quella libertà che abita Il tempo migliore, la mostra inaugurata il 2 luglio nel cortile di Palazzo Ricca, sede della Fondazione Banco di Napoli, curata da Angela Madesani e Carla Viparelli. All’inaugurazione erano presenti anche il Presidente della Fondazione Banco di Napoli Orazio Abbamonte e l’ex sindaco di Napoli Riccardo Marone. Centodue fotografie selezionate dalla Collezione di Rita e Riccardo Marone raccontano un’Italia in bianco e nero (e talvolta a colori), vista dallo sguardo lucido e innamorato di liberi professionisti che, al termine della giornata lavorativa, imbracciavano la macchina fotografica come altri impugnano un pennello, una penna o uno strumento musicale. Non erano professionisti dell’immagine, bensì avvocati, medici, ingegneri, commercianti. Uomini e donne che nella fotografia cercavano non una carriera ma un linguaggio. Una forma di riflessione e bellezza, nel tempo sottratto alla produttività. Ed è proprio quel tempo, il tempo migliore, che il titolo della mostra rivendica con sottile malinconia, ma anche con forza: il tempo della gratuità, dell’esplorazione, della lentezza, del silenzio. Un tempo che oggi, nella bulimia iconica del presente, sembra quasi scomparso.

Come ricordano le curatrici, molti degli autori in mostra si riunirono in gruppi che hanno fatto la storia della fotografia italiana del Novecento: La Bussola, l’Associazione Fotografica Misa, la Società Fotografica Subalpina (ancora attiva), il Circolo Fotografico Milanese, il Circolo Fotografico la Gondola, ecc… Un movimento carsico e laterale rispetto al fotogiornalismo o alla fotografia commerciale, ma essenziale per la nascita della fotografia d’autore in Italia. Lo sottolineava già Giuseppe Turroni nel 1959 nel suo Nuova fotografia italiana, segnalando come le voci più originali del tempo – da Giuseppe Cavalli a Paolo Monti, da Ferruccio Ferroni a Mario Finazzi – non fossero professionisti dell’immagine, ma “dilettanti” nel senso più nobile e dimenticato del termine. Come scrive Riccardo Marone: «Il termine dilettante, come quello di fotoamatore, nel nostro tempo storico potrebbe essere letto in un’accezione negativa» quasi con disprezzo, ma nasconde in realtà un’etimologia preziosa: chi si dedica a un’arte per il gusto di innovare, sia nell’idea che nella tecnica, senza scopo di lucro. E in effetti, basta osservare le fotografie in mostra per cogliere quella speciale tensione che nasce dall’amore non mediato dalla necessità. Sono immagini che raccontano l’Italia del secondo dopoguerra con una grazia fatta di luci rarefatte, geometrie segrete, volti rubati al quotidiano. Alcuni autori hanno avuto fortuna e riconoscimenti – come Giacomelli o Davolio Marani – altri restano nomi noti solo ai più attenti amatori e studiosi. Ma tutti partecipano a un unico affresco collettivo in cui la fotografia si emancipa dalla funzione documentaristica e diventa, finalmente, un gesto artistico.

La mostra – ospitata questa volta nel cortile del palazzo, dopo l’edizione autunnale tenuta nell’Archivio Storico della Fondazione – si inserisce nel solco della missione culturale dell’ente, che vuole dare voce a chi sta fuori dai riflettori del mainstream, valorizzare le eccellenze nascoste, raccontare storie che rischiano di perdersi. Il tempo migliore, allora, è anche un tempo morale. Un invito a ripensare il nostro rapporto con l’arte, con il lavoro. È il tempo della passione che non chiede nulla in cambio, della dedizione silenziosa, della ricerca interiore. Forse, proprio perché slegata da ogni necessità esterna, questa fotografia dilettante è oggi tra le più autentiche e necessarie.
La mostra sarà visitabile, gratuitamente, tutti i giorni fino al 30 luglio: dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 17, il sabato dalle 10 alle 18 e la domenica dalle 10 alle 14.