Ripartono i tour organizzati da Heart of the city a Napoli per godere insieme del patrimonio culturale e naturalistico del posto.
Appuntamento in Piazza Plebiscito, come sempre. Il sorriso dei partecipanti è coperto dalla mascherina anti-covid, ma l’emozione è tangibile negli occhi.
La sera in cui è calato il buio per le strade delle nostre città è ormai un brutto ricordo o forse no. Tutto ciò che sappiamo è che abbiamo finalmente varcato la soglia della porta di casa per uscire in un mondo in cui, purtroppo, non ci sentiamo più al sicuro e questo ci rende confusi e felici (per dirla alla Consoli!).
Siamo usciti dalla nostra bolla e ora proviamo, con non poca fatica, a condurre una vita semi-normale.
Napoli, malocchio del mondo
Solo tre mesi fa la tv ha annunciato una specie di tuono, cospargendo l’odore di un gran temporale tra le mura domestiche di ognuno di noi. Edizione straordinaria. “Parla il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte”. “Emergenza Coronavirus”: “Dichiarato lo stato di pandemia”. Pandemia. Una parolina che ha risucchiato in fretta e furia la quotidianità di ognuno di noi, dalle cose più grandi a quelle più piccole, rubandosi un caffè al bar, una stretta di mano, un abbraccio. Un assassino invisibile ha assunto il volto di un amico, di un passante e di una qualsiasi persona, recludendoci in casa, agli arresti domiciliari. Oggi siamo in piazza Plebiscito, pronti a percorrere stradine insolite, per scoprire vicoli, scalinate e vie dimenticate insieme alle loro storie. Distanziati di almeno un metro e con le bocche e i nasi coperti, ci piazziamo al centro della piazza intorno alla nostra guida, come quei bambini che formano un cerchio e si apprestano a girare in tondo, per cantare una filastrocca. Con la differenza che noi non ci teniamo per mano e, al posto di una filastrocca, abbiamo tutti in mente una personalissima preghiera volta a scacciare il virus da questa città, che è il malocchio del mondo.
Le due statue equestri di Carlo III di Borbone (iniziatore della dinastia borbonica) e di suo figlio Ferdinando I – realizzate dal Canova e dal suo allievo Antonio Calì – sembrano salutarci e darci il “bentornati” in strada.
All’estremità della piazza più importante di Napoli, la scultura di Carlo V d’Asburgo pare prendere davvero vita per chiedere (come vuole la leggenda) chi abbia fatto la pipì lì davanti e posso giurare di aver visto Carlo III risorgere per rispondere di non saperne nulla, mentre Gioacchino Murat confessa di essere lui il colpevole. Sento con le mie orecchie Vittorio Emanuele II minacciarlo di tagliargli il membro, proprio come sono soliti raccontare i napoletani a un turista che si trova per la prima volta in città.
Napoli ci sembra risuscitare e, insieme a lei, si ridestano anche i nostri cuori.
Superata piazza del Plebiscito, arriviamo davanti alla Chiesa di Santa Lucia a mare, fondata secondo la tradizione da una nipote di Costantino e detta così perché costruita sulla riva del mare. I primi a occuparla furono i monaci basiliani. Nel 1845, la risistemazione della strada provocò l’interramento della Chiesa cinquecentesca, sulla quale venne costruita quella attuale, poi bombardata nel 1943 e ricostruita nell’immediato dopoguerra, secondo l’impianto della chiesa del XIX secolo.
Qualche passo più avanti ci troviamo dinanzi alla Chiesa di Santa Maria della Catena. Questa venne fondata nel 1576 dagli abitanti del borgo di Santa Lucia, per lo più marinai, che decisero di dedicarla alla Madonna della Catena, il cui culto era stato importato a Napoli dalla Sicilia. Si racconta che nel 1390, a Palermo, tre condannati innocenti videro rimandare il giorno della loro esecuzione a causa di una pioggia battente. Le catene con cui erano imprigionati nella chiesa di Santa Maria del Porto (la denominazione della Chiesa in questione prima del miracolo) furono spezzate dal provvidenziale intervento della Vergine. Per questo motivo quella chiesa in seguito, fu ribattezzata della Catena. Dal 1799 nella Chiesa è conservata la salma dell’ammiraglio Francesco Caracciolo, condannato a morte nello stesso anno per ordine dell’ammiraglio Horatio Nelson. Le mura protettive la strapparono al mare rendendo la zona ideale per lo svago, poi nel 1576 cominciarono i lavori per edificare la Chiesa vera e propria.
A questo punto volgiamo lo sguardo sulla scalinata del Pallonetto, che ci accompagna nell’anima popolare del borgo di Santa Lucia: le case sembrano fare a botte e file di panni stesi al sole congiungono muri umidi e scalcinati, inebriati dal profumo di ammorbidente e dall’odore di polvere. Il Pallonetto e il borgo di Santa Lucia sorgono ai piedi di Monte Echia, noto ai napoletani come “Pizzofalcone“. È qui che sorse Partenope, perché era un posto strategicamente favorevole, circondato per tre lati dal mare e con l’isolotto di Megaride come avamposto. La forma di questa collina è simile a quella di un rapace e aveva tutta una serie di aperture, conosciute come “grotte platamonie“. Alcune furono adoperate per l’allevamento delle murene, ma la loro fama è legata ad un particolare rito orgiastico, che si svolgeva più volte all’anno e consisteva nell’incontro tra una menade incoronata da un’alga marina ed uno jerofante agghindato da uomo pesce che la fecondava. A partire dal Quattrocento il rituale subì una sorta di legalizzazione e i due officianti erano freschi sposi che consumavano il matrimonio alla presenza dei membri di una setta. Ci viene tramandato che oltre a questi rituali, questi antri erano adoperati anche per ammucchiate che di iniziatico avevano ben poco oppure per nascondere le merci di contrabbando. Questi luoghi oggi restano impregnati della furia erotica dei riti del passato, quindi, se passeggiando per via Chiatamone doveste sentirvi improvvisamente maliziosi e birichini, non è colpa vostra, ma è una conseguenza delle sedimentazioni energetiche… incontenibili, ahimè. Che dirvi?! Fate pure.
Arrivati sulla cima di Pizzofalcone, godiamo di un panorama di Napoli da un punto di vista molto particolare, per riscendere sulle rampe di Lamont Young, geniale architetto e urbanista britannico che vide la nuova ferrovia metropolitana anzitempo e che si tolse la vita, dicono, piegato dalla miopia dell’epoca e dall’ostilità della società partenopea. Arriviamo vicino a Castel dell’Ovo, dove ci fu il primo approdo dei Greci che conquistarono il golfo di Napoli e che fondarono Neapolis, che significa “Città Nuova”. Si narra che qui Partenope, la terza di tre sirene dopo Ligea e Leucosia, si lasciò morire come le altre e trasportare dal mare lungo le coste, forse per la delusione di non essere riuscite a fermare il marinaio Ulisse, sebbene estasiato dal loro canto. Una volta defunta, la sirena Partenope si dissolse trasformandosi nella morfologia del paesaggio napoletano: il capo è appoggiato ad oriente, sull’altura di Capodimonte, e il piede ad occidente, verso il promontorio di Posillipo.
L’escursione giunge al termine esattamente qui, sulla scogliera del lungomare di Napoli, dove veniamo praticamente rimessi al mondo carichi di nuova luce negli occhi. Ci lasciamo così alle spalle il lockdown: una reminiscenza che, ora, fa già meno male.
Grazie Napoli, bellezza eterna.
Foto in evidenza: https://allevents.in/napoli/santa-lucia-pizzofalcone-e-rampe-lamont-young-visita-guidata/200018999653225