10 marzo 1302: Dante Alighieri fu esiliato da Firenze

10 marzo 1302

Il 10 marzo 1302 Dante Alighieri fu condannato all’esilio. Appartenente alla piccola borghesia cittadina, il poeta si avvicinò alla politica, sin da sempre vissuta con fervore e con partecipazione. Nel 1300 il Sommo Poeta fu eletto tra i sette priori; ma quando presero il potere i guelfi neri, gli appartenenti alla fazione dei guelfi bianchi, tra cui Dante, furono perseguitati. Il suo destino era segnato: la condanna prevedeva la morte o l’espulsione dalla città.

Il 10 marzo 1302 il poeta, infatti, fu esiliato da Firenze, con una condanna perentoria, per baratteria, frode, falsità, dolo, malizia, inique pratiche estorsive, proventi illeciti e pederastia; delle accuse gravi e soprattutto tante per esser rivolte ad un solo uomo, un poeta che amava fortemente la propria città. 

A partire dal 10 marzo 1302, l’esperienza dell’esilio fu elaborata da Dante Alighieri attraverso le varie canzoni scritte proprio in quel periodo, dei trattati e soprattutto della Commedia. L’esilio viene interiorizzato come peregrinatio e storicizzato attraverso il cammino di verità del pellegrino nel regno dell’oltretomba. Tale peregrinatio è compiuta da Dante attraverso l’incontro con i personaggi della storia (oltre che con quelli del mito).

Il 10 marzo 1302 il Podestà Cante Gabrielli da Gubbio mandò via Dante con due sentenze, cacciandolo dalla città natale, dopo un processo politico che ancora oggi non convince gli storici che analizzano la questione. Il cittadino più illustre di Firenze fu espulso dalla splendida città con una sentenza che recitava: «Baratteria, frode, falsità, dolo, malizia, inique pratiche estortive, proventi illeciti, pederastia, e lo si condanna a 5000 fiorini di multa con conseguente interdizione perpetua dai pubblici uffici, confisca dei beni, esilio perpetuo (in contumacia), e se lo si prende, al rogo, così che muoia». Oggi sarebbero dei reati minori, ma in quel preciso contesto e momento storico, per Dante Alighieri fu una vera e propria condanna.

Dopo l’esilio, dal 10 marzo 1302 in poi, ha inizio per Dante una vita da fuoriuscito, cacciato via dalla sua città; come il poeta stesso si definirà nelle sue lettere, è un florentinus et exul immeritus (“fiorentino ed esule senza colpa”) e anche florentinus natione, non moribus (“fiorentino di nascita, non di costumi”) costretto a peregrinare di corte in corte nell’Italia settentrionale. Ecco dunque che Dante trascorse gran parte della sua vita, esattamente trentasette anni, nella sua patria, e venti anni in esilio, durante i quali nacquero gran parte delle sue opere. Lavorò in contemporanea alla Commedia, componendo una dopo l’altra le tre cantiche, e alle altre sue opere.

Dopo l’esilio, il 10 marzo 1302, Dante, diplomatico di una certa fama, ottenne rifugio presso diverse famiglie come i Malaspina o gli Scaligeri che avevano interesse ad accoglierlo e ospitarlo sia per i suoi meriti artistici, sia come consigliere.

Quella del 10 marzo 1302 era la seconda condanna, quella definitiva. Se fosse stato scoperto entro il territorio comunale di Firenze, sarebbe stato condannato a morte. Ecco dunque che l’esilio rappresenta l’ultimo atto di una tragedia tutta politica, foriera tuttavia di gloria eterna. Ricordiamo che Dante non rientrò più a Firenze. Al Sommo Poeta fu proposto di far ritorno a Firenze con quella che può definirsi una sorta di amnistia condizionata all’oblazione, ossia, doveva pagare una somma, trascorrere qualche mese in carcere e dichiararsi penitente. Dante decise però di non sottostare a questa umiliazione e non tornò mai a Firenze.

Trascorse gli ultimi anni della sua vita a Ravenna, dove morì, dopo essersi ammalato gravemente, sofferente fisicamente e fortemente lacerato nell’animo. Ricordiamo che l’esilio decretato il 10 marzo 1302, per Dante Alighieri, significò dover dire addio all’amata terra natia, nonché l’inizio di una lunga fase di sofferenza interiore e di ripensamento della sua poetica, che costituisce la base ideologica e stilistica del suo capolavoro immortale: la Divina Commedia. L’esperienza dell’esilio, inteso e vissuto come pena inflitta ad un innocente, porta il Sommo Poeta a parlare di giustizia, questione primaria nell’universo della Commedia. Lo scrittore restituisce con la propria opera la metafora per riscattare la giustizia violata.
La vicenda dell’esilio spiega la visione che Dante Alighieri rivolge alla propria città: una continua mescolanza di odio e amore, nata dopo l’esilio del 10 marzo 1302.
L’esilio del Sommo poeta ne condizionò fortemente l’esistenza, non solo poetica, ma anche umana, distruggendo ogni sua speranza e diventando lo specchio storico dell’uomo mortale che ancora oggi rappresenta il simbolo della letteratura italiana. 

 

Immagine in evidenza: Pixabay

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