La questione meridionale: tra storia e attualità

Dopo l’Unità d’Italia, emerse sempre più un dibattito-diatriba piuttosto grave e ancora oggi evidente, che gli storici definiscono “questione meridionale”, ossia il divario economico, tra il Nord del paese, più sviluppato e il Sud, meno sviluppato.
Ancora oggi, la cosiddetta “questione meridionale”, è studiata ed analizzata non solo perché ancora  attuale, ma soprattutto perché interessante dal punto di vista socio-culturale.
L’espressione “questione meridionale”, utilizzata nella storiografia italiana per indicare la difficoltà del mezzogiorno d’Italia, rispetto alle altre regioni del Paese, in particolar modo quelle del nord, fu utilizzata per la prima volta nel 1873 dal deputato Antonio Billia.
La situazione relativa alla “questione meridionale”, denotava un forte immobilismo che le nuove istituzioni politiche non avevano affrontato, e in alcuni casi ignorato, derivante da una serie di vecchi privilegi, sorretti da un antiquato orientamento sociale e culturale in senso stretto.
L’arretratezza del Mezzogiorno, pur non apparendo come un fenomeno unico e circoscritto, imponeva che la cosiddetta “questione meridionale”, al contempo causa e conseguenza dei limiti di sviluppo sociale, economico, culturale, dello Stato stesso, non potesse essere spiegata senza tener conto dell’influenza dei vari fattori e delle concatenazioni storiche, politiche e sociali, che avevano contribuito a determinarla.
Nel corso del tempo, studiosi, storici, poeti e intellettuali hanno espresso la propria opinione circa una questione così tanto discussa, dai mille aspetti, spesso controversi e complicata al tempo stesso. Tra gli altri, Umberto Saba, poeta e scrittore, fu colui che disegnò con un aforisma breve, ma fortemente evocativo, l’identità propria della questione meridionale: “costituzionalmente la questione meridionale, non è una questione, è un modo, che vale un altro, di essere”.
Un fenomeno di così grande portata storica, spiegato da Umberto Saba, intellettuale di spicco, noto esponente della letteratura italiana, in una frase densa di significato storico e perfettamente collimante con quanto ancora oggi si afferma circa la cosiddetta “questione meridionale”.

L’attualità della questione meridionale

La questione meridionale, ha disegnato nel corso del tempo, i confini non solo di un’epoca, ma anche della mappatura geografica della Penisola, “dividendola” in due parti distinte; ognuna con la propria identità, con le proprie ragioni, professioni, ideologie e sembianze.
In quest’ottica, le analisi di tipo storico-filosofico, sono necessarie per comprendere quanto è stato e quanto è considerato ancora attuale e vivo.
Antonio Gramsci nel 1926, si dedicò alla stesura di un saggio, rimasto incompiuto e intitolato “Alcuni temi della questione meridionale”, pubblicato poi a Parigi nel 1930. L’opera si configura come il culmine di una esperienza personale e politica, la consapevolezza, che la questione meridionale non potesse essere risolta con rimedi specifici, ma fosse un caso a sé.

Come è possibile notare, ritorna, quasi prepotentemente, la doppia identità di una questione destinata a segnare l’intero territorio italiano. La “questione meridionale” intesa come modo e al contempo come caso a sé.
Riconoscere i caratteri propri della questione stessa, significa determinare una rapida rottura con le tradizioni con le quali essa ha convissuto; riconoscere i limiti e le caratteristiche di un dato storico, ma anche culturale e sociale, significa definire i contorni di una “frattura di carattere organico”; tutto ciò s’inserisce in un sistema ben saldo, ma estremamente differenziato, oggigiorno ancora analizzato a fondo, per comprenderne i caratteri e le connotazioni.

 

Immagine in evidenza: Foto di Pixabay

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