L’istituzione culturale ART1307 presenta Segni di Luce, una mostra di Claudia Meyer a cura di Cynthia Penna in esposizione a Napoli fino al 3 gennaio 2017 presso Villa Di Donato.
Quando lo spettatore attraversa le sale della mostra si ritrova immerso nelle immagini fissate dal proprio imprinting nella memoria. Sono presenti figure di corpuscoli che si rivelano oltremisura, come gigantesche macro di infiniti fotogrammi provenienti da numerosi vetrini a contatto. Nelle immagini che scorrono nelle sale della Villa, a volte sembra di riuscir a ritrovare gli agglomerati stellari di cui sono fatte le nebulose. Ci sono poi le onde del mare, alle quali manca solo la loro voce.
Claudia Meyer riesce a risvegliare il pensiero del bambino che è in noi, facendoci riconquistare il momento in cui restavamo con lo sguardo verso il cielo per dare un nome alle nuvole.
Le opere presentate sembrano realizzate come da materiali preziosi, fatte di onici ed alabastri retroilluminati con figure che risvegliano l’immaginazione. In realtà la ricerca dell’artista è rivolta all’uso di materiali facilmente reperibili, come le lastre di plexiglass, di alluminio fino ad arrivare ad utilizzare parti di packaging in cartone ondulato, senza cadere nell’ormai inflazionato readymade.
Il dinamismo che unisce le opere in mostra è rintracciabile anche nei segni lasciati sulle lastre che compongono i manufatti presenti in Segni di Luce.
Ogni effetto è voluto, studiato, provato. Claudia Meyer ha lavorato con cura minuziosa verificando in itinere il linguaggio che stava assemblando, spesso con la luce dei suoi led per capire passo dopo passo cosa le sue opere avrebbero trasmesso.
Venir rapiti dalle opere della Meyer significa riuscire a riconoscersi nei segni provenienti da un altro tempo che richiamano alla mente un primitivismo arcaico.
La lettura delle opere non è semplice e immediata, ma lo spettatore trovandosi di fronte ai lavori dell’artista ha la possibilità di lasciarsi trasportare da quella sinergia che viene generata e che riesce a far dialogare Claudia Meyer con il fruitore delle sue opere.
La luce diviene elemento concettuale. Si ha la possibilità di guardare due immagini dello stesso concetto. Il segno che viene percepito ha sempre una doppia valenza. Un sistema binario che con la sua semplicità restituisce la complessità del pensiero dell’artista.
Claudia Meyer ha lavorato la luce usandola come veicolo comunicativo, mentre il segno non luminoso le ha permesso di facilitare la trasmissione del suo pensiero.
Lo spettatore meno attento o meno dotato degli strumenti per decodificare le immagini che Claudia Meyer ha presentato, potrebbe non capire il grande lavoro di composizione che l’artista ha condotto.
Cerchi e quadrati inscritti in griglie che come tante direttrici formano un complesso palinsesto che permette all’artista di “controllare” la figura che compone l’opera, forse retaggio del suo passato da costruttivista svizzera.
Claudia Meyer riesce a comunicare con un linguaggio che tende all’unicità, restituendo una grande forma di energia, quella della vita dove tutto scorre.