E alla fine diventammo tutti verdi…ma non di rabbia

E alla fine diventammo tutti verdi

Diego Breviario, dirigente di ricerca presso l’Istituto di Biologia e Biotecnologia agraria di Milano, è autore di articoli scientifici, inventore di brevetti, editore di riviste scientifiche e divulgatore e scrittore di testi per video e animazioni. Ha ricevuto vari premi dal Rotary Club e dal National Institute of Health.

“E alla fine diventammo tutti verdi… ma non di rabbia”, romanzo dal carattere narrativo-divulgativo edito da Aracne nel quale l’autore affronta in maniera a tratti leggera, a tratti più tecnica e specifica, i problemi dell’umanità circa il sovraffollamento della specie sul globo terrestre, facendo particolare attenzione al consumismo di questi ultimi.

Uomini che vivono le proprie esistenze non pensando altro che al cibo, al modo di sfruttare in maniera più inopportuna e devastante le risorse messe a disposizione dalla Natura al fine di sfamarsi sempre di più, produrre sempre di più, distruggere sempre di più tutto ciò che ci circonda.

Ogni cosa ruota intorno al cibo: i programmi televisivi, la società l’economia, l’educazione stessa. Ed è per questo che si assiste ad un incremento notevole dell’obesità e alla conseguente incapacità di rapportarsi alle esigenze vitali quotidiane: perfino l’accoppiamento subisce gli effetti negativi del grasso presente sui corpi. Copulare è un’impresa resa impossibile dall’eccessiva carne di ogni singolo individuo. Ragion per cui, Lucia di Verde e Clodio Filla, entrambi scienziati, di comune accordo, in seguito all’ennesimo conflitto sul cibo ed ai conseguenti danni economici disastrosi, decidono di avventurarsi in un esperimento spericolato: la creazione dell’homo verdis clorofillicus. Mettendo a disposizione i loro gameti, usufruendo dell’utero della compagna di Lucia, Phyto Sforza, attraverso l’estrazione del Dna da una pianta, la zamioculcas, mescolano le informazioni genetiche della pianta a quelle di Clodio e danno vita così a Smeralda.

E alla fine diventammo tutti verdi… ma non di rabbia

Smeralda, colei che avrebbe salvato il pianeta dallo sfacelo nel quale stava precipitando. Un ibrido, metà uomo, metà pianta, che non avrebbe avuto certamente bisogno delle eccessive quantità di cibo del quale si sfamavano gli esseri umani e che avrebbe necessitato perlopiù di acqua per la sopravvivenza. La bambina nasce, nasce bianca, ma con il tempo le caratteristiche del suo Dna fanno capolino nella sua vita, proprio sulla sua pelle. La bambina ad una certa età comincia a necessitare sempre di meno cibo e a diventare verde. Ne conseguono problemi chiari ed evidenti: cacciata da scuola, costretta a trasferirsi con i genitori in una terra chiamata Papania, posto nel quale si prediligeva l’impiego del colore verde in ogni ambito.

“Verde era la bandiera, verdi i gonfaloni, verdi le case, i tetti, le lenzuola, verdi i vestiti”.

In quello strambo posto vigeva anche il culto per un unico animale: la trota. Questa mania nei confronti di quel pesce nasceva dal riconoscimento che quel popolo aveva nei confronti del figlio del suo avo fondatore, chiamato per l’appunto Trota, del quale si era tramandato di generazione in generazione il ricordo della sua arguzia e intelligenza. La narrazione procede con un ritmo incalzante, fino a giungere ad un inaspettato, forse sperato, epilogo.

L’autore, certamente esperto del mestier suo, diventa un abile narratore capace di dar vita ad un’opera accessibile ad una qualsiasi tipologia di lettore. Scorrevole, leggero, irriverente, ironico, il testo risulta di piacevole lettura e comprensione. Trama avvincente, spunto di riflessione circa i tempi che stiamo vivendo, tempi nei quali il consumismo la mancanza di cura per l’ambiente e la natura che ci circondano hanno ormai preso il sopravvento. Da leggere.

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