Il carcere di massima sicurezza di El Salvador: CECOT

Il carcere di massima sicurezza di El Salvador: CECOT

Il carcere di massima sicurezza di El Salvador è stato costruito perché a partire dagli anni ’90, le strade del paese erano dominate da gang criminali che avevano iniziato a guadagnare potere e influenza nel paese, dopo che molti dei loro membri furono deportati dagli Stati Uniti al termine della guerra civile salvadoregna. Le due più grandi bande di strada erano la Mara Salvatrucha (comunemente nota come MS-13) e la Banda della 18esima strada (Barrio 18), le quali esercitavano la loro influenza e facevano soldi attraverso omicidi, estorsione e traffico di droga. A causa di tutta questa violenza, El Salvador ha avuto uno dei più alti tassi di omicidi del mondo. Gli anni 2000 segnarono l’inizio della cosiddetta «guerra alle maras», dal momento che i vari governi dell’ Alleanza Nazionalista Repubblicana cercarono di attuare politiche dure contro la criminalità per combattere la diffusione delle gang, che portarono all’arresto di 30.000 presunti criminali. Nel 2012 si è verificato un evento senza precedenti: il governo del Fronte Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale, la Chiesa cattolica e le bande del paese hanno concordato una tregua che inizialmente ha abbassato il tasso di omicidi, ma che ha avuto vita breve, dato che nel 2014 gli omicidi sono aumentati nuovamente.

La strategia di Bukele e la costruzione del carcere di massima sicurezza

Di fronte alla violenza crescente, l’Assemblea legislativa ha proclamato lo stato d’emergenza, sospendendo vari diritti costituzionali e facilitando l’arresto su larga scala di presunti membri di gruppi criminali organizzati. Per questo motivo, il presidente di El Salvador, Nayib Bukele, ha annunciato la costruzione del CECOT, un carcere di massima sicurezza capace di ospitare 40.000 detenuti. La struttura si presenta come una vera e propria fortezza sorvegliata da 250 agenti di polizia e 650 soldati. È costituito da otto moduli suddivisi in quattro coppie, circondato da una ventina di torri di guardia rivestite con filo spinato, da due recinzioni elettrificate, e con pavimentazione in ghiaia progettata per rendere udibili i passi.

La vita all’interno del carcere

All’interno del carcere di massima sicurezza i prigionieri indossano uniformi bianche e i loro capelli vengono rasati ogni cinque giorni. Possono lasciare le loro celle solo per 30 minuti al giorno, per fare esercizio fisico, leggere la Bibbia o per ricevere cure mediche. Non sono autorizzati a ricevere istruzione, visite o telefonate. Per questioni di sicurezza, molti detenuti vengono condannati da remoto, per non mettere in pericolo i giudici che emettono le loro sentenze; infatti, in tutto il CECOT sono presenti ben 48 sale dedicate alle udienze a distanza. Il governo salvadoregno non ha intenzione di rilasciare alcun prigioniero; il ministro della Giustizia e della Pubblica Sicurezza, Gustavo Villatoro, ha infatti dichiarato che i prigionieri incarcerati in questo carcere di massima sicurezza non torneranno mai nelle loro comunità. A conferma di ciò, sono stati esclusi anche tutti i programmi di riabilitazione.

Il confine sottile tra sicurezza e repressione

Il progetto ha suscitato un forte dibattito internazionale, polarizzando l’opinione pubblica tra chi lo considera un modello efficace contro la criminalità e chi lo vede come un segnale allarmante di autoritarismo. Da un lato i sostenitori ritengono che la popolazione, stremata da decenni di violenza, abbia accolto con favore le misure di Bukele, ponendo al centro dell’attenzione la sicurezza reale del paese. Dal 2015 al 2024, il tasso di omicidi in El Salvador è calato del 98%, facendo guadagnare al governo un altissimo consenso popolare. Dall’altro lato, organizzazioni internazionali come Human Rights Watch e Amnesty International denunciano gravi violazioni dei diritti umani, come arresti arbitrari, torture, detenzioni senza processo e condizioni disumane all’interno del carcere. Il rischio della strategia di Bukele è, dunque, quello di legittimare una forma di repressione sistematica che, se accettata come norma, potrebbe compromettere in modo irreversibile lo stato di diritto.

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Fonte immagine in evidenza: Wikipedia 

Autore immagine in evidenza: Tia Dufour

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