Ci siamo da poco lasciati alle spalle il 19 marzo e la Festa del Papà, sempre consacrata dalle tradizionali zeppole di San Giuseppe, vissuta da ognuno in maniera più o meno sentita. Certamente, però, questa ricorrenza, come tante altre, dovrebbe promuovere dibattiti e riflessioni riguardo temi poco discussi. Tra questi, certamente, il congedo di paternità.
Si tratta del diritto di un’astensione dal lavoro, anche non continuativo, in cui si percepisce un’indennità economica, entro i cinque mesi da un parto, un’adozione o un affidamento. Tradizionalmente riconosciuto alla madre, se non in casi estremamente eccezionali, come l’abbandono da parte della stessa del bambino o condizioni inabilitanti di salute, i Paesi Europei avanzano, più o meno velocemente, concedendo diritti anche ai padri.
Congedo di paternità: progressi in Italia, ma l’Europa?
Alle donne italiane spettano attualmente 5 mesi. Grazie alla Legge di Bilancio e all’intervento della neoministra della Famiglia Elena Bonetti, il congedo di paternità è aumentato da 7 a 10 giorni, riconosciuto come obbligatorio e retribuito del 100%.
Un successo importante, certamente, a cui però non si deve erroneamente guardare come un risultato. Basti pensare che nel 2017, i giorni erano 4 e, prima ancora, solo 2.
I padri in Spagna usufruiscono di ben 16 settimane di congedo pagate al 100%, esattamente lo stesso periodo di tempo che è concesso alle madri. Stessa scelta per la Finlandia, che parifica la durata dei congedi a 164 giorni e permette ai genitori single di utilizzare entrambe le indennità. Il primato resta alla Svezia, con 240 giorni a genitore, richiedibili in ben 18 mesi.
Certamente la gestione dei figli relegata alle donne è il prodotto di complessi precetti culturali, instaurati profondamente nelle società patriarcali e già superati, invece, dai paesi europei più moderni ed attenti alla parità di genere.
L’attenzione a provvedimenti di questo tipo, però, potrebbe divenire proprio il mezzo di riduzione del gap di genere, che incoraggerebbe i neopapà ad accudire i propri figli, e a comprendere che uomini e donne hanno stesso diritto e dovere di accudire i propri figli. Inoltre, si porrebbe come intervento decisivo per l’interruzione delle discriminazioni sessuali sul lavoro e la penalizzazione delle madri lavoratrici.
Certamente è necessario riequilibrare le discriminazioni sociali che le donne hanno vissuto e vivono fortemente tutt’oggi nella vita sociale e privata, che sfociano in più o meno gravi forme di disparità e violenza, fino al femminicidio. Certamente una società inclusiva ed equilibrata ha l’obbligo di tutelare i diritti di tutti a prescindere dal ruolo tradizionalmente svolto dagli stessi.