I film di Troisi: la riscoperta del suo cinema

I film di Massimo Troisi: la riscoperta del suo cinema

In occasione della recente uscita su Netflix del documentario Laggiù qualcuno mi ama di Mario Martone dedicato al grande Massimo Troisi, è impossibile non seguire l’esempio di Martone riscoprendo la sua intera cinematografia, soprattutto per la ricerca incessante nei maggiori temi dei suoi film: l’amore e il rapporto tra la vita e la morte.

Iniziare “qualcosa”: Ricomincio da tre

Il film d’esordio dell’attore, sceneggiatore e regista napoletano è Ricomincio da tre, uscito nel 1981 con un certo successo di pubblico e critica. Il film è già da subito un manifesto artistico di Troisi: la nascita della sua poetica è incarnata dal protagonista Gaetano, personaggio (tipico troisiano) indefinito, non nel senso di misterioso ma di senza definizione, eternamente indeciso e insicuro eppure non superficiale, che decide di allontanarsi dalla cara Napoli sostanzialmente per spingersi verso nuove esperienze andando a vivere a Firenze dalla zia, dove inizierà una nuova vita segnata dall’amicizia con il solito Lello (Lello Arena) e dalla relazione con Marta, una giovane infermiera appassionata di scrittura. L’intento maggiore del film e del regista è quello di iniziare qualcosa, che sia artistico e legato alla carriera cinematografica di Massimo Troisi o umano e legato all’evasione dalla propria zona-comfort (reale del Troisi-comico e figurativa di Gaetano), ma qualcosa rimane generico, perché il film è una continua ricerca sospesa, come tutti i dialoghi contenuti in esso. Solo alla fine, quando ci sembra che la ricerca abbia trovato la sua meta sicura nell’amore di Gaetano e Marta, i quali decidono di crescere insieme il futuro bambino di lei avuto con un altro uomo, il film si conclude in maniera spiazzante e incerta con la discussione sul nome da dare al figlio, iconica soprattutto per la battuta finale di Troisi che diverte i due innamorati facendoci vedere uno spiraglio di speranza.

Con sorridente distacco: Morto Troisi, viva Troisi!

È in questo modo che inizia la carriera cinematografica del regista, che però prosegue con l’opera che maggiormente si distacca dalle altre, cioè il film TV Morto Troisi, viva Troisi! del 1982, di fatto un mockumentary sulla finta morte dello stesso protagonista Massimo Troisi che si intreccia con interviste ai suoi colleghi comici, attori e registi: il lungometraggio è già molto radicale rispetto al film d’esordio, andando con la solita ironia realistica e struggente a parodizzare lo stesso regista/attore e anche la televisione italiana dell’epoca, nonché il suo pubblico.

Ad un livello successivo: Scusate il ritardo

Nel 1983 Troisi ritorna con un film più sulla linea del primo, ma con l’intenzione di scavare ancora più a fondo nelle proprie tematiche, infatti questa volta il protagonista Vincenzo non compie un viaggio per affrontare la vita, ma lo fa nella sua Napoli dopo l’inizio della relazione con Anna, amica di vecchia data di sua sorella: Scusate il ritardo del 1983 è il titolo perfetto per spiegare il carattere incerto e quasi inetto del protagonista, il quale è a un livello successivo rispetto al Gaetano di Ricomincio da tre, perché spesso risulta indifferente nei confronti della famiglia indaffarata, del migliore amico depresso e della fidanzata innamorata solo per la sua pigrizia d’animo. È interessante il confronto anche tra i finali dei due film, dal momento che se nel primo vi è uno spiraglio di speranza, nel secondo il fermo-immagine su cui appaiono i titoli di coda cade improvvisamente nel dialogo in cui Vincenzo sembra aver trovato il coraggio di continuare seriamente la relazione con Anna, lasciando lo spettatore sorpreso e incerto su ciò che succederà dopo.

La potenza della comicità: Non ci resta che piangere

Così si arriva ad un film, vero capolavoro di comicità italiana, Non ci resta che piangere del 1984 diretto e interpretato nei ruoli di protagonisti da Massimo Troisi e Roberto Benigni: qui il salto di qualità è dettato, più che dalla concezione poetica del regista napoletano, dalla concezione comica della coppia, infatti si passa al genere fantastico di pari passo al registro comico più surreale, raccontando il viaggio nel tempo di un maestro e di un bidello, migliori amici, che senza sapere il perché – dopo una notte di tempesta e rifugiati in una casa di campagna – si ritrovano nella Toscana di epoca rinascimentale, dove cercheranno di adattarsi alla nuova vita senza molte speranze di tornare all’epoca presente. Il lungometraggio è anzitutto il modo di coniugare le due diverse comicità, paradossalmente riavvicinandosi al film satirico Morto Troisi, viva Troisi! con la parodia eterna alla società italiana e questa volta con una potenza inaudita, potendo addirittura ironizzare sulla storia e soprattutto sull’epoca d’oro del Rinascimento; tuttavia la malincomicità solita del regista napoletano resta nella sottotrama amorosa problematica, tenuta però sottotono a favore delle avventure surreali che portano il finale perfetto, ovvero il sovvertimento della storia ad opera dei due comici/viaggiatori culminato nell’invenzione del treno da parte di Leonardo Da Vinci, il quale per un attimo illude i protagonisti e lo spettatore di essere tornati agli anni ’80 ponendo poi completamente fine alle loro speranze.

Troisi maturo: Le vie del Signore sono finite

Il film Le vie del Signore sono finite del 1987 continua a giocare con la storia tramite la comicità, ma questa volta Troisi di nuovo solista si dimostra più maturo, a partire dai temi, infatti la solita storia d’amore tormentata qui si intreccia strettamente non con il carattere irrisolto del protagonista, ma con una sua vera e propria malattia, accrescendo l’interesse per il rapporto tra la vita e la morte, insomma la fugacità della vita e l’esistenza di un destino incontrovertibile: la storia è ambientata in epoca fascista e racconta di un barbiere affetto da una malattia psicosomatica che gli paralizza le gambe, a causa della fine della relazione con l’amata Vittoria, però proprio per questo il protagonista fa di tutto per riconquistare la donna riuscendo quindi a guarire. La maturità del regista/attore/comico è dettata dalla grande satira al fascismo dal suo interno ma anche dal mutamento di atteggiamento del protagonista, più sicuro di sé e pronto a farsi forza contro la propria malattia e la società stessa riuscendo nel finale a raggiungere l’amata a Parigi ricongiungendosi definitivamente con lei, un primo vero finale senza puntini di sospensione.

L’inspiegabile irrazionalità: Pensavo fosse amore… invece era un calesse

Ultimo film da regista unico è Pensavo fosse amore… invece era un calesse del 1991: proprio come il film precedente qui la coppia protagonista è già formata ed è (ovviamente) in crisi perché, a differenza dei primi due film prettamente romantici di Troisi, non si vuole narrare l’innamoramento del protagonista come evasione dalle proprie insicurezze e indecisioni, ma si vuole piuttosto evidenziare la tenuta dell’amore e la forza d’animo dei personaggi; inoltre, mentre precedentemente la figura della donna risultava più forte e sicura dell’uomo (anche grazie alla comprensione e consapevolezza della sceneggiatrice Anna Pavignano), in questi due ultimi film prima l’insicurezza viene sostituita dalla malattia e dalla società come ostacoli e dopo ritorna l’insicurezza, ma più generale come condizione esistenziale dell’umano che sia uomo o donna. Questa riflessione è comunque frutto della trama del lungometraggio, infatti qui si parla di Tommaso e Cecilia, che per la gelosia di quest’ultima mandano a monte il proprio matrimonio per poi invertire completamente i ruoli, al punto che – per gelosia – Tommaso cerca in tutti i modi di rovinare il nuovo fidanzamento della donna, fino a quando riuscendo a riconquistarla decideranno nuovamente di non sposarsi questa volta per l’incertezza dell’uomo. L’inquadratura finale è esplicativa, in quanto con un movimento di macchina di entrata ed uscita dal bar, in cui si incontrano vestiti da sposi i due innamorati dopo l’annullamento della cerimonia, si sottolinea la semplicità e la contemporanea complessità dell’amore, poiché con le loro voci fuori-campo rispetto al movimento si vede come quel sentimento di unione non è qualcosa di certo e matematico da dover dichiarare pubblicamente, ma piuttosto un qualcosa di intimo che può essere compreso solo da chi vi partecipa: il concetto si comprende più direttamente tramite una delle sottotrame, l’amore non ricambiato per Tommaso della sorella del suo migliore amico, la quale addirittura arriva a tentare di avvelenarlo, così il regista riesce ad unire la morte e l’amore di nuovo insieme, trattando della inspiegabile irrazionalità dell’essere umano.

La morte come compimento della vita: Il postino

Conclusione della cinematografia e della vita di Massimo Troisi, essendo morto esattamente il giorno dopo la fine delle riprese per motivi di salute, è il pluripremiato Il postino del 1994, diretto da Michael Radford, ma sempre in collaborazione con il regista napoletano, ispirato al romanzo Il postino di Neruda di Skármeta: il film parla di Mario, postino su un’isola del Sud-Italia, il quale ha l’incarico di consegnare e prelevare lettere solo dal rifugiato politico comunista Neruda, famoso poeta cileno, ma il lavoro è un’occasione per il protagonista di riuscire a trasmettere le proprie idee e le proprie emozioni tramite la poesia e ovviamente l’amicizia con il poeta; infatti successivamente Mario riesce a conquistare la donna che ama, fino a sposarla e avere un figlio con lei di nome Pablito, in onore di Pablo Neruda nel frattempo ripartito per il Cile libero. La fine non è questa, ma la sarebbe stata probabilmente se il destino non avesse scelto che l’ultimo film di Troisi avrebbe dovuto avere una conclusione a tutta la sua cinematografia e dunque alla sua vita, infatti Mario riesce a registrare i suoni dell’isola da dedicare all’amico straniero su sua richiesta, che però la sentirà solo dopo la morte del protagonista, deceduto nei pestaggi di una manifestazione comunista in occasione della lettura di una propria poesia: la morte è necessaria in quanto compimento della vita, vissuta completamente e unicamente grazie all’amore autentico, quello per le persone, per i luoghi e per le idee tangibile solo attraverso la poesia, così come il regista riesce a trovare lo stesso solo attraverso il cinema.

Fonte dell’immagine per “I film di Massimo Troisi: la riscoperta del suo cinema”: Wikipedia

A proposito di Giuseppe Arena

Ciao, mi chiamo Giuseppe Arena e sono di Napoli. Fin da bambino amo il cinema, infatti ora lo studio alla facoltà di Scienze della comunicazione, presso l'Università Suor Orsola Benincasa; inoltre nel tempo libero, oltre a guardare film, ne parlo pure su "Eroica Fenice" e sulla mia pagina Instagram "cinemasand_". Oltre al cinema, sono appassionato anche di altre arti, comunemente incluse nella "cultura-pop", come le serie-tv e i fumetti: insomma penso che il modo migliore per descrivere il mondo sia raccontare una storia!

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