L’Alabama vieta l’aborto: rischio ergastolo per i medici

Alabama

Lo scorso 15 maggio, il Senato dell’Alabama (dopo 4 ore di dibattito) ha approvato una legge, l’HB314, che vieta quasi completamente l’aborto in tutto lo Stato. La nuova normativa ha ottenuto prima il via libera dalla Camera, poi dal Senato, e successivamente la firma di Kay Ivey, repubblicana, governatrice dello Stato.

Ivey ha poi prontamente twittato: «Ho firmato. La legge afferma con forza l’idea che ogni vita è preziosa ed è un regalo di Dio». A sostegno della governatrice, la deputata repubblicana dell’Alabama, Terri Collins, sponsor della proposta di legge, ha dichiarato: «Il nostro disegno di legge dice che il bambino nell’utero è una persona».

Durante il durissimo scontro nell’aula del Senato dell’Alabama, le donne in segno di protesta sono scese in piazza vestite da ancelle, in riferimento alla serie tv ispirata al romanzo Il racconto dell’ancella.

Si tratta della più dura misura fra quelle che attualmente restringono l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) negli Stati Uniti. Nello specifico, la legge stabilisce il divieto di aborto anche in caso di incesto o di stupro, e lo consente solo nell’eventualità in cui la gravidanza compromettesse la salute dalla madre. Inoltre, sono previste condanne pari a dieci anni di carcere per i medici che proveranno a praticare un’operazione del genere e fino a 99 anni di carcere per quelli che violeranno il divieto. Le donne che violeranno la legge, invece, non verranno incriminate penalmente.

Nel testo della proposta di legge, viene comparato il numero di feti abortiti con quello delle vittime dei gulag di Stalin e dei campi di sterminio in Cambogia.

Il provvedimento ha provocato le reazioni più disparate nel mondo politico Americano, nella società civile, tra le organizzazioni sociali.

Staci Fox, dell’associazione “Planned Parenthood Southeast Advocates”, ha parlato di «giorno oscuro per le donne in Alabama e in tutto il paese», e il senatore democratico Bobby Singleton ha detto che il disegno di legge «criminalizza i medici ed è un tentativo da parte degli uomini di dire alle donne cosa fare con i loro corpi».

L’Organizzazione Nazionale per le donne ha definito il divieto «incostituzionale» e decine e decine di ricorsi sono pronti per fermarlo. I gruppi di attivisti “pro-choice”, ovvero i sostenitori dei diritti riproduttivi delle donne, sono convinti, infatti, che i tribunali di livello più basso bocceranno il provvedimento, ma il piano dei Repubblicani è far arrivare la questione alla Corte Suprema Americana (SCOTUS), che rappresenta il tribunale di ultima istanza di Stato e che dovrà pronunciarsi sulla sua costituzionalità. I promotori della Legge puntano proprio a rovesciare in quella sede la sentenza “Roe contro Wade”, che dal 1973 ha di fatto legalizzato l’aborto a livello federale. A incoraggiarli è la recente nomina nella Corte Suprema, da parte del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, di due giudici anti-aborto: Neil Gorsuch e il controverso Brett Kavanaugh, accusato di abusi sessuali da almeno quattro donne. Attualmente i giudici di orientamento conservatore alla Corte Suprema sono 5 su 9.

Non solo Alabama

Negli Stati Uniti non esiste una legge unica sull’aborto e ogni Stato ha le sue regole. Solo nell’ultimo anno, 16 dei 50 Stati Americani hanno introdotto delle misure per restringere l’accesso all’aborto: Georgia, Mississippi, Arkansas, Kentucky, Utah, Ohio, tra i tanti. L’ultimo è stato la Georgia, dove è stata approvata una legge che vieta l’aborto quando è possibile rilevare il «battito cardiaco» del feto, quindi dopo le sei settimane. Un periodo entro il quale molte donne non sanno nemmeno di essere incinte. Inoltre, l’espressione “battito cardiaco” è impropria poichè a sei settimane l’embrione pulsa, ma non ha un organo cardiaco vero e proprio.

La strategia usata dagli Stati anti-abortisti, però, lascia intravedere un sistema che potrebbe essere adottato per erodere molti altri diritti, come quelli dei gay o delle minoranze, e cambiare i meccanismi della democrazia Americana.

Senza ombra di dubbio, con la stretta dell’Alabama il tema aborto esplode nella campagna elettorale per le presidenziali del 2020.

Il senatore democratico Bernie Sanders ha lanciato su Twitter un appello alla governatrice dell’Alabama: «Ponga il veto sulla crudele legge che vieta l’aborto e fermi l’attacco ai diritti delle donne. Quello che sta facendo l’Alabama è spudoratamente incostituzionale e viola il diritto fondamentale di una donna di prendere le decisioni che riguardano il suo corpo».

Il Presidente Trump in passato aveva dichiarato di essere favorevole all’aborto, ma la sua base elettorale di evangelici e conservatori lo ha costretto a cambiare posizione e sostenere le cause “pro-life”. Infatti, la sua amministrazione ha già finanziato con 1,7 milioni di dollari una grande società che gestisce una catena di cliniche pro-life, che si oppongono alla pratica dell’interruzione della gravidanza e che sono contrarie anche all’offerta di metodi anticoncezionali, tagliando contemporaneamente i fondi ad altre cliniche affiliate all’organizzazione Planned Parenthood che lavora in difesa della legislazione abortista. Sul provvedimento per l’Alabama, però, Trump si è detto contrario al divieto d’aborto in caso di stupro e di incesto, e in presenza di rischio di vita della madre. Nel frattempo, i sondaggi sull’argomento ci consegnano un’America ancora spaccata in due, con solo il 50% della popolazione a sostegno dell’aborto legale.

Il giornale israeliano Haaretz ha sollevato il dubbio che gli occidentalissimi Stati Uniti siano più conservatori dei Paesi Musulmani in termini di diritti delle donne e di aborto. Dopotutto, i divieti approvati in Alabama, Georgia e Missouri sono più restrittivi di quelli vigenti in circa la metà dei Paesi del Medio Oriente a maggioranza musulmana.

Leila Hessini, vice-presidente del “Global Fund for Women, che promuove iniziative per l’uguaglianza di genere a livello internazionale, ha espresso la sua preoccupazione dichiarando che «non c’è un livello di fervore, violenza e di attacchi contro le donne paragonabile a quello negli Stati Uniti in questo momento. In Medio Oriente e Nord Africa non vediamo lo stesso desiderio di rendere le leggi più punitive e più restrittive per le donne che hanno bisogno di ricorrere all’aborto rispetto a quanto vediamo negli Stati Uniti».

Immagine: Rai News

A proposito di Maria Laura Amendola

Nata a Potenza il 28 giugno 1993, madre australiana e papà Irpino. Impegnata, per diversi anni, in organizzazioni a carattere sociale e culturale, ho prediletto come ambito il femminismo e le battaglie contro le disuguaglianze di genere. Nel 2021, è nata la mia prima opera letteraria, "Una donna fragile", Guida Editori.

Vedi tutti gli articoli di Maria Laura Amendola

Commenta