Ad una settimana dal fallito golpe, la Turchia è immersa in uno stato di terrore. Il presidente Recep Tayyp Erdoğan prosegue la rappresaglia nei confronti dei suoi oppositori, puniti con l’estromissione da ogni settore della vita pubblica.
Nessuno si sente al sicuro dal presidente “democraticamente eletto” che mira a smantellare le fondamenta laiche su cui è nata la Turchia, per rimpiazzarle con le radici di uno stato che gravita attorno alla sola legge dell’Islam.
A rendere più drammatica la situazione è la decisione del parlamento turco di sospendere la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), che la Turchia aveva firmato nel 1950. A detta di Erdoğan dovrebbe trattarsi di una misura temporanea, in linea con i tre mesi di stato di emergenza emanati allo scopo di scongiurare altri colpi di stato. Bekir Bozdağ, ministro della giustizia, ha assicurato che i cittadini potranno proseguire la loro vita quotidiana senza alcun timore e che non ci sarà alcuna ritorsione contro di loro. Il vicepresidente Norman Kurtulmuş ha inoltre confermato che nelle città non vigerà alcun coprifuoco e che spera di poter revocare lo stato di emergenza tra una quarantina di giorni.
La Turchia è sempre più vicina all’autoritarismo
Ma una decisione di tale portata non passa inosservata. Non c’è dubbio che Erdoğan userà questa mossa a suo vantaggio, per rendere concreta quella che è una vera e propria svolta autoritaria a cui va incontro la Turchia. Non c’è da escludere che i media saranno sotto un più serrato controllo e che si cercherà di limitare qualunque forma di manifestazione pubblica, con la mancanza della possibilità di appellarsi alla corte europea in caso di violazione dei diritti umani. Sembra che Erdoğan abbia aspettato proprio il golpe ai suoi danni per attuare determinate misure governative.
Ma Erdoğan non avrebbe potuto fare tutto questo senza un’arma fondamentale: il popolo. Quel popolo che ha incitato a scendere per strada e ad affrontare i militari e che ora festeggia, convinto di entrare in un’epoca d’oro che invece ne rappresenta la regressione. Si può solo pensarla così, se la Turchia si sta riducendo a quello che Marco Ansaldo, inviato speciale per La Repubblica, ha raccolto nel suo reportage per le strade di Istanbul. Un paese sempre più immerso nell’orbita di un totalitarismo religioso, dove l’unica legge ammessa è quella di Dio, di cui Erdoğan si vanta di esserne l’incarnazione.
Tutto in nome dell’ordine pubblico. Tutto in nome della democrazia.
Ciro Gianluigi Barbato