Lavorare e morire in Italia: le storie dietro i numeri

Le vite di Stefan, Angelo, Bruno, Lorenzo e Pino si impastano con il vento della realtà: un vento tragico che soffia nei luoghi di lavoro, nei campi, sulle strade silenziose d’Italia. Sono nomi concreti, non numeri, scritti ogni giorno da un cronista che ha deciso di restituire loro memoria civile, edizione dopo edizione, su una pagina che si chiama Morti di lavoro.

Stefan Cristinel, un tecnico del fotovoltaico, è caduto da un tetto sfondato come cadono i sogni fragili di chi crede che l’insicurezza non appartenga al quotidiano. Angelo Gritti è spirato sull’asfalto, portato via dalla brutalità dell’imprevisto, mentre guidava verso il luogo che avrebbe reso possibile il pane quotidiano. Bruno, agricoltore con le mani segnate dalla terra, è finito sotto il suo stesso trattore, come un albero antico stroncato dal vento della negligenza. Lorenzo, investito mentre pedalava per iniziare un turno, ha scelto di restare nel corpo dell’altro: i suoi organi hanno donato vita altrove. E poi c’è Pino, caduto nel piazzale del supermercato, uomo della contabilità e del pane, salvato solo dal fatto che il suo cuore non ha retto al mattino che aveva già deciso di non essere un giorno come gli altri.

Questi sono volti che si aggiungono alla mappa dolorosa che ogni giorno il giornalista Piero Santonastaso disegna: 14 morti solo a settembre, 758 dall’inizio dell’anno, di cui 607 sul lavoro e 151 in itinere. Dati che, una volta depositati nelle cifre ufficiali, rischiano di diventare cenere, ma lui, con tenacia, li trasforma in memoria attiva: li nomina, li racconta, li restituisce dal limbo della statistica con la forza viva di chi sa che la dignità sopravvive solo se qualcuno la pronuncia ad alta voce. Non c’è vittima che non vibri nel suo racconto: ognuno è un alito che rompe il silenzio dell’indifferenza. Quelle pagine non sono un bollettino di lutti, ma una carezza che resiste alla dimenticanza. È come se ogni parola pronunciata in memoria fosse una preghiera civile: perché si possa fermare nella coscienza del Paese l’abitudine atroce di accettare la morte come dovuta, come “danno collaterale” di uno sviluppo economico che cammina sulle vite dei suoi operai.

Eppure, la linea continua: 3 morti ogni giorno, in media, immobili come pietre sull’altare dell’indifferenza; a settembre, il conto è salito a 3,5, come se il tragico bando si facesse più feroce. E mentre le cronache locali raccontano “incidenti”, Santonastaso scrive “vite spezzate”, consegnandole al cuore dell’Italia che resiste. Infatti, ogni storia riporta a un campo arato sotto un sole impietoso, a un capannone arrugginito, a un cammino normalissimo che finisce nel sangue. E ogni giorno, chi, come lui, vuole raccontare il Paese, sa che non può fermarsi.

Alla fine, la pagina Morti di lavoro non è solo un progetto giornalistico, è un monumento alla memoria di chi era ancora vivo e doveva lavorare, un monito contro l’abitudine a truccare il dolore con il distacco del dato. Finché quelle parole continueranno a cadere, a ricordarci i danni causati da strutture fragili, da norme sospese, da attese che durano decenni, ci sarà respiro per non lasciare morire anche la dignità della vittima.

A partire dal lavoro quotidiano e appassionato di Piero Santonastaso — che ogni mattina trasforma sulla sua pagina Morti di lavoro cifre invisibili in vite che restano — si svela un bilancio che mai come oggi pesa sulla coscienza collettiva. L’Inail parla di numeri.

Dati INAIL 2025

  • Primi due mesi: le denunce di infortuni mortali sono state 97 (+6,6% rispetto al 2024), di cui 36 in itinere (+33,3%).
  • Primo trimestre: il totale delle denunce è di 205 (+8,37%), di cui 146 sul lavoro e 59 nel tragitto verso o dal posto di lavoro (+51,3%).
  • Primi quattro mesi: i casi mortali sul lavoro sono stati 207 (+1,5%), mentre quelli in itinere sono saliti a 79 (+29,5%).
  • Primo semestre: le morti sul lavoro denunciate sono 495, trainate dagli incidenti in itinere, passati da 104 a 137.

Ma c’è una quota oscura che sfugge ai report ufficiali: Santonastaso, nel 2024, segnalava 379 morti in 127 giorni, ben più di quanto raccontavano le cifre Inail, grazie a un criterio più inclusivo, che considera chi è invisibile alla statistica formale. La sua è una memoria che non si accontenta dei ritardi, della burocrazia, dei settori esclusi. È memoria attiva, questo sì.

E allora si scopre che tra le morti registrate nel solo inizio settembre 2025, cinque uomini avevano nomi e volti: Stefan Cristinel Craescu, Angelo Gritti, Bruno Paolo Chinni, Lorenzo Veronesi, Pino Pugnaghi, non erano numeri. Ognuno portava una storia, un lavoro, un’urgenza di ripartire la mattina. E avevano in comune il fatto di non dover morire così. Le loro vite sono cadute tra infissi, biciclette, moto, trattori, supermercati: angoli di esistenza quotidiana dove nessuno dovrebbe perdere il respiro. E allora quei 14 morti solo a settembre sono vite che gridano nel silenzio, tutte quelle di regione in regione che formano una geografia di dolore. Lombardia, Veneto, Campania: punti su una mappa che nessuno vorrebbe guardare ma che tutti dobbiamo conoscere.

Tutti i numeri ufficiali, pur così inquietanti, non raccontano tutta la realtà. Ignorano i precari, i non contrattualizzati, i lavoratori in nero, ma è proprio per loro che Santonastaso non si arrende alle statistiche. Continua a raccontare, ogni giorno, con cura.

E se la vera emergenza fosse l’oblio più che i dati? Se la vera battaglia fosse impedire che la morte diventi routine? Santonastaso è lì ogni giorno, segnando nomi e cognomi, perché, come dice, ogni vita ha una storia.

(Di Yuleisy Cruz Lezcano)

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