Andrea Scanzi torna a Napoli. Era da da cinque anni che il giornalista aretino non si esibiva nella città partenopea. Dai tempi del suo spettacolo teatrale Gaber se fosse Gaber. L’occasione è di quelle speciali. Il Festival Mann ha preso il via e Scanzi è certamente tra gli ospiti di punta della manifestazione. In una giornata che ha visto esibirsi e dialogare, tra gli altri, personaggi del calibro di Riccardo Sinigallia e Patrizio Oliva. Ospite frequente delle maggiori trasmissioni televisive, Scanzi, che piaccia o meno, nel suo campo è tra i più eclettici del panorama nazionale. Un giornalista che spazia con facilità dalla televisione alla carta stampata, dalla politica allo sport. Che sul Fatto Quotidiano è riuscito a conquistarsi uno spazio in cui non solo commenta le notizie quotidiane. Ma parla anche delle sue passioni. La musica è certamente tra queste.
Il tesoro del chitarrista
Proprio di musica si è parlato nella giornata di ieri. Soggetto del dibattito non era un personaggio qualsiasi, bensì Ivan Graziani. Ovvero, forse insieme al nostro Edoardo Bennato, il cantautore più originale della musica leggera italiana. Nella Sala Farnese il ritratto che ha avuto un ospite d’eccezione come Filippo Graziani, figlio del celebre chitarrista. Sempre un passo avanti i suoi colleghi dell’epoca, artista bizzarro e sicuramente unico, Ivan Graziani ha educato la canzone d’autore italiana ad affrontare il rock in maniera totalmente nuova. Senza complessi di inferiorità verso i modelli anglosassoni e con l’orgoglio della tradizione provinciale italiana. Portano la sua firma alcune tra le più famose canzoni della musica leggera nel nostro paese. Chi non hai mai ballato sui versi polemici di “Pigro”? Oppure non si è commosso sui racconti di donne ne “Lugano Addio” o “Firenze canzone triste”?
Scanzi ripercorre la storia del cantautore teramano, partendo dai suoi dischi più famosi. Fottuti di malinconia, parafrasando un successo grazianiano. E che trovano tutti la stella cometa in quella voce inimitabile, sempre altissima ma mai sconfinante nel falsetto. Voce che viene perfettamente riprodotta dal figlio Filippo. Ha impressionato difatti la somiglianza canora tra i due. Filippo sembra artisticamente la versione di Ivan teletrasportata ai giorni nostri, e la folta barba hipster ha sostituito i fatidici occhiali. L’incontro trascorre così con la narrazione da parte di Scanzi di eventi della vita privata e artistica di Ivan Graziani. Come quando rifiutò di diventare il frontman della PFM, all’epoca il gruppo italiano più celebrato in patria e all’estero. Definito dal giornalista aretino “goliardicamente rivoluzionario”, la leggerezza del teramano è ripercossa da Filippo sulle note dei suoi pezzi più famosi e non. Tra un racconto e l’altro, si canta e ci si emoziona al ritmo di “Monna Lisa”, “Lugano Addio”, “Taglia la testa al gallo”, “Fuoco sulla Collina”.
Scanzi definisce “Agnese dolce Agnese” come il disco perfetto. Dieci canzoni ognuna perfettamente al loro posto. Ci sono le atmosfere oniriche di “Fuoco sulla collina”, il folklore di “Taglia la testa al gallo” e il successo radiofonico di “Agnese”. Tanto da far passare in secondo piano canzoni che in altri lavori sarebbero stati capolavori, quali “Canzone per Susy” e “Veleno all’autogrill”. Il disco fu preceduto però dall’album forse più famoso di Graziani, Pigro. Un’opera nella quale il cantautore teramano svela maggiormente le sue abilità nella scrittura dei testi. Soffermandosi in particolare sulla pigrizia mentale che a suo dire affliggeva la società, costringendola ad una noia esistenziale senza uscita. Un concetto già presente dalla copertina del disco, con quel maiale occhialone. E tremendamente attuale ai giorni nostri. “Tu sai citare i classici a memoria/Ma non distingui il ramo da una foglia/il ramo da una foglia/Pigro!”.
Scanzi al Festival Mann omaggia Ivan Graziani
L’importanza artistica di Graziani è particolarmente sottolineata da Scanzi. Un cantante unico, nel panorama italiano. Perché pochi come il teramano hanno saputo unire la bellezza dei testi alla complessità della musica. Canzoni come quelle di Ivan Graziani, Paolo Conte, di Ivano Fossati invecchiano meglio per questo motivo. Un testo può essere legato a un particolare periodo storico o personale dell’autore. La musica no. Quando bella, come ogni forma artistica, è immortale, è l’impronta che ogni essere umano lascia su questa terra. Se c’è un difetto da imputare al pur favoloso panorama del cantautorato italiano è proprio questo. L’essersi soffermato troppo sulla parola. Riducendo la musica all’essenziale. Artisti fantastici come Guccini e De André vengono così inseriti nelle antologie scolastiche. Ma la parola musica non coincide per forza col significato di poesia.
Alla strenua di un Montale, Graziani ha ritratto nelle sue canzoni varie figure femminili. Marta, Paolina, Isabella ricordano così, in un gioco di sillogismi, Volpe, Crisalide, Arletta. La donna della vita del cantautore è, però, la moglie in carne e in ossa, Anna. Un amore che ha segnato la carriera del teramano. Scanzi racconta un gustoso aneddoto a proposito. Ovvero di quella volta che Ivan chiamò la moglie in piena notte, dal suo studio di registrazione. Disse ad Anna che aveva messo insieme qualche nota e due parole per lei. E fu così che per la prima volta eseguì dal vivo “Firenze canzone triste”.
Con la scomparsa di Ivan Graziani, nel 1997, la musica italiana ha ereditato un modo inedito di avvicinarsi al rock. Un approccio inedito, che si distacca da ogni forma di modello anglosassone, ergendosi a orgogliosa affermazione della tradizione italiana. Cancellando ogni residuo di precedenti complessi d’inferiorità. Il teramano ci è riuscito attraverso due strade principali. In primis con le sue liriche uniche, perlopiù focalizzate sul mondo della provincia, analizzata in tutte le sue sfaccettature. Una provincia descritta con i suoi personaggi caratteristici, quali emarginati, ribelli e prostitute, come solo De André aveva avuto il coraggio di fare prima di lui.
L’altro elemento caratteristico è il suo stile musicale, che rifiuta a prescindere definizioni ed etichette, semplicemente infischiandosene. Andrea Scanzi e Filippo Graziani hanno così narrato la storia di Ivan. In un momento artistico in cui tutto è uguale a tutto, ogni pezzo assomiglia all’altro, la complessità del teramano ci manca forse ancora di più. Pochi difetti si possono imputare ad Ivan, se non quello di essere portabandiera di una musica mai vista prima in Italia, e la colpa è nostra se lo abbiamo capito troppo tardi.