Marchi e brand pro Palestina: la guida agli acquisti

Marchi e brand pro Palestina: la guida agli acquisti

Di fronte al prolungarsi del conflitto a Gaza, molti si chiedono “cosa posso fare?”. Quando la diplomazia appare distante, la risposta può trovarsi in un gesto quotidiano come l’acquisto. Sostenere i marchi e i brand pro Palestina diventa un modo per inviare un messaggio di solidarietà e per esercitare una piccola ma significativa influenza. Numerose imprese, infatti, hanno deciso di non rimanere in silenzio, agendo tramite donazioni e prendendo posizione contro l’oppressione.

Marchi pro Palestina: una sintesi per categoria

Categoria Marchi e brand pro Palestina
Cosmetica e bellezza Huda Beauty, FARSÁLI, Kayali, Simihaze Beauty, Topicals.
Abbigliamento e accessori PaliRoots, Nol Collective, Darzah, Meera Adnan, Kuvrd, Sunbula.
Prodotti alimentari Gaza Cola, Zaytoun, Al’Ard Palestinian Agri-Products, Canaan Palestine.
Casa e lifestyle Watan, Hilweh Market, El Bustan.

Come riconoscere i marchi e i brand che sostengono la Palestina

Identificare le aziende con un sostegno autentico richiede attenzione. Per sapere con certezza se un marchio sostiene la Palestina, il modo più affidabile è verificare le fonti dirette: i canali social ufficiali, i comunicati stampa e le dichiarazioni dei fondatori. Oltre a questo, si possono seguire alcuni criteri:

  • Dichiarazioni pubbliche e azioni concrete: un brand che prende una posizione chiara, come ha fatto Huda Kattan di Huda Beauty con la donazione di un milione di dollari, mostra un impegno tangibile.
  • Coerenza con le campagne BDS: un indicatore utile è la consultazione delle liste del movimento BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni). Si tratta di un’iniziativa globale che esercita pressione non violenta su Israele, invitando al boicottaggio di aziende complici nelle violazioni dei diritti dei palestinesi. Verificare se un marchio è assente da tali liste è un buon punto di partenza.

Una lista di marchi pro Palestina settore per settore

Cosmetica e bellezza

Nel settore beauty, nomi come Huda Beauty e FARSÁLI si sono distinti per le loro donazioni. A questi si uniscono Kayali, Simihaze Beauty (fondato da gemelle di origine palestinese) e Topicals. Esistono anche realtà come la Palestinian Soap Cooperative, che valorizza le tradizioni locali.

Abbigliamento e accessori

Marchi come PaliRoots e Kuvrd sono nati per celebrare la cultura palestinese. Altri, come Nol Collective e Darzah, promuovono l’artigianato locale collaborando con cooperative in Cisgiordania e a Gaza.

Prodotti alimentari e bevande

Aziende come Gaza Cola sono nate come alternativa etica, donando i profitti per la ricostruzione. Realtà come Zaytoun e Canaan Palestine lavorano per creare un mercato equo e solidale per i prodotti agricoli palestinesi.

Marchi neutrali o senza connessioni dirette con Israele

Oltre ai brand attivamente pro-Palestina, esistono aziende considerate alternative “sicure” in quanto prive di legami noti con l’economia israeliana. Le liste seguenti sono aggregate da fonti di monitoraggio come amirahzaky.com e disoccupied.com.

Abbigliamento: Aab, Lyra Swim, Stradivarius, Boohoo.
Caffè: Caffe Nero, Taylors of Harrogate, Peet’s Coffee.
Cosmetici: Lush, The Inkey List, Farsali, FW Beauty.
Cibo e Supermercati: Aldi, Chicken Cottage, The Halal Guys, Co-op.
Tecnologia: Lenovo, eBay, Telegram, DuckDuckGo, Canva, Pinterest.

Quali marchi boicottare secondo le campagne pro-Palestina?

Parallelamente, è in corso un vasto movimento di boicottaggio contro i marchi accusati di supportare Israele. Come documentato da fonti come The Islamic Information, le campagne prendono di mira diverse multinazionali:

  • Fast food e bevande (es. McDonald’s, Starbucks, Coca-Cola): criticati per le iniziative delle loro filiali israeliane a sostegno dell’esercito.
  • Tecnologia (es. HP): accusata di fornire servizi che supportano l’infrastruttura di controllo israeliana nei territori occupati.
  • Abbigliamento sportivo (es. Puma): criticata per la sponsorizzazione della Federcalcio israeliana.

Il caso Coop in Italia: una posizione chiara

Un esempio di posizionamento etico in Italia è Coop. Come chiarito in una nota ufficiale, Coop da tempo non vende prodotti provenienti dagli insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati. Questa scelta, in linea con le risoluzioni ONU, non è un boicottaggio generalizzato verso Israele, ma un’azione mirata basata sul diritto internazionale.

L’impatto reale del consumo consapevole

Ma supportare questi marchi ha un impatto reale? Sì. L’azione individuale, sommata a quella collettiva, può avere conseguenze significative. Come riportato da un’analisi de Il Fatto Quotidiano, le campagne di boicottaggio contro i marchi percepiti come vicini a Israele stanno iniziando a produrre risultati concreti. Aziende multinazionali come McDonald’s e Starbucks hanno registrato cali nelle vendite, spingendole a prendere le distanze dalle filiali locali. Questo dimostra che la pressione dei consumatori può influenzare le strategie aziendali, sostenere economicamente le comunità locali e inviare un forte messaggio politico.

Fonte immagine: Wikipedia

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