Maurizio Costanzo: il giornalista, l’uomo, il talk show.

Maurizio Costanzo: il giornalista, l’uomo, il talk show.

L’Italia saluta Maurizio Costanzo. Se ne vanno con lui 70 anni di storia della televisione e del giornalismo.

Dopo Raffaella Carrà e Piero Angela, se ne va anche Maurizio Costanzo.

È difficile spiegare che uomo è stato un uomo che è stato così tante cose; un uomo che ha detto di voler essere ricordato «come uno che ha sempre cercato di fare e che ha provato, soprattutto, a vivere». E ha fatto e ha vissuto.

Sguardo curioso e cinico, un romano di quelli veri. Sempre ironico, a modo suo, con poche parole e un riso discreto ma vivace. Amante della televisione, amante della verità, senza fronzoli; odiatore di quegli intervistati che non si aprono, che non rispondono, ma anche di chi ride inutilmente, di chi si compiace.

Gli inizi e la carriera

Maurizio Costanzo inizia a 18 anni come cronista del quotidiano Paese sera, dove «lavoravo e non pigliavo una lira», confessa più tardi. Per Paese sera, con il sogno in tasca di diventare giornalista e l’iconica firma Maurice Constance dal Belgio, segue e racconta il Belgium Tour. Un tempo si chiamava gavetta.

Poi il Corriere Mercantile di Genova e la redazione di TV Sorrisi e Canzoni, incarico che gli regala l’intervista delle interviste, quella a Totò. Da quel momento i due sarebbero diventati compagni di chiacchiere e mangiate a casa del Principe, ai Parioli. Costanzo aveva appena 21 anni.

Prima il giornalismo, poi la TV, infine tutti e due uno accanto all’altro condotti con esemplare professionalità. Una professionalità e un intuito che gli permettono di entrare, ben presto, nelle grazie dei grandi signori della TV italiana; tra tutti, Luciano Rispoli, che, nei primi anni Sessanta, gli affida il varietà Canzoni e nuvole di Radio Rai. Quel Rispoli, il padre del primo talk show italiano L’ospite delle due e dei primi programmi radiofonici e televisivi per giovani e giovanissimi: come Bandiera gialla, Gran Varietà, La corrida; una rivoluzione per l’ingessata e impettita Tv dei primi anni.

Forse è proprio il suo modello che Costanzo continua ad avere in mente quando pensa a programmi come Per voi giovani con Arbore e Boncompagni – anche lui lanciato da Rispoli – e, soprattutto, quando porta a massima fortuna il genere del talk show con Bontà loro, prima, e con il Maurizio Costanzo Show poi.

All’esempio del suo maestro, Costanzo unisce, però, uno sguardo lungimirante e progressista e un amore mai nascosto per la televisione. Erano i tempi in cui la tv puntava ancora su una ineguagliabile vocazione di storytelling per appagare il desiderio di tutti di ascoltare storie; era quella tv che parlava, raccontava, spiegava, insegnava. E così definiva le linee dominanti dell’interpretazione culturale della realtà e costruiva una cultura comune.

Maurizio Costanzo: un divoratore di interessi e occasioni

Maurizio Costanzo di sperimentare e innovare non si è mai stancato, cogliendo ogni opportunità per mettersi alla prova. Alla fine degli anni ’60 ha scoperto Paolo Villaggio, poi è stato autore del brano Se telefonando, è stato autore e ideatore di programmi radiofonici e televisivi, sceneggiatore di opere teatrali. Ha collaborato alla stesura del copione di Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pasolini, di Una giornata particolare di Ettore Scola e di vari film di Pupi Avati. Ha augurato a tutta Italia, per anni, Buona domenica, affiancato da Fiorello, Paola Barale, Claudio Lippi, Massimo Lopez. Ha diretto, artisticamente parlando, il Teatro Brancaccio di Roma.

Nel suo salotto pariolino, uno dei più longevi e famosi d’Italia, ha conversato con politici, giornalisti, intellettuali, missionari, pornodive, poeti. Il basso e l’alto, l’impegnato e il popolare, così, tenuti nella stessa mano, guardati con lo stesso occhio acuto e analitico, raccontati con la stessa ironia e lo stesso spessore. Ironia, autoironia e spessore.

L’arte dell’intervista

Dalla sua poltrona rossa ha insegnato l’arte dell’intervista: prepararsi prima, accuratamente, fare domande semplici, concise, con poche parole ma esatte. Lasciare la parola all’intervistato, ma interrompere senza scrupoli, con una giusta dose di “cattiveria” – come la definiva – per centrare l’obiettivo. E poi la domanda cerniera, «quella che quando la fai ad un ospite chiuso senti come una zip e lui inizia a parlare». Quella a Gheddafi l’intervista più difficile, quella ad Alda Merini la più commovente, passando per Andreotti, David Letterman, Napolitano, persino sua moglie, Maria De Filippi. L’ultima delle sue mogli, anzi, un amore durato 33 anni – quasi quanto il suo Costanzo Show –, nonostante i chiacchieratissimi 23 anni di differenza di mezzo.

L’uomo e il giornalista

Lui, che le donne le trovava più intelligenti degli uomini e amava ascoltarle, prima di tutto, tanto che ne ha sposate quattro. È stato anche il giornalista impegnato e rivoluzionario che ha ospitato, sulla poltrona di fronte alla sua, il giudice Giovanni Falcone e che, nella maratona antimafia Rai-Fininvest organizzata dopo la morte di Falcone, ha bruciato in diretta una maglietta con la scritta Mafia made in Italy. È stato lui a convincere Michele Santoro ad andare in onda, il giorno della strage, nonostante l’amarezza e il dolore: «È il nostro lavoro. È il lavoro di tante persone che per questa serata hanno lavorato per giorni», ricorda Santoro.

Anche l’impegno contro la mafia faceva parte del suo lavoro – «I mafiosi fanno i mafiosi, i giornalisti devono denunciare i mafiosi», diceva –, tanto da scampare per qualche centimetro a 70 kg di tritolo, un “attentato di avvertimento”, mentre era in auto con Maria de Filippi sulla strada per il Parioli. Totò Riina aveva detto «Questo Costanzo mi ha rotto». Illesi per un soffio fortuito del destino, Maria non sarebbe più salita in macchina insieme a lui. E lui non si sarebbe occupato più di mafia per parecchio tempo.

Oltre al suo lavoro, ha amato la musica, il buon cibo, la comicità buona, il gelato e le caramelle che nascondeva ovunque, nella valigia come nel porta occhiali. Un po’ ficcanaso, un po’ goloso. Ha amato Roma, quella Roma di cui aveva la verve e il volto sornione, quella Roma che oggi lo guarda spegnersi e un po’ si spegne.

Giù il sipario. Almeno in questo mondo. Altrove, chissà.

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A proposito di Martina Santamaria

Laureata in Filologia, letterature e storia dell’antichità, ho la testa piena di film anni ’90, di fotografie e di libri usati. Ho conseguito un Master in Giornalismo ed editoria. Insegno italiano, latino e greco, scrivo quando ne ho bisogno e intervisto persone. Vivere mille vite possibili attraverso gli altri è la cosa che mi riesce meglio, perché mi solleva dalla pesantezza delle scelte.

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