Il Giappone e gli Stati Uniti sono due stati geograficamente distanti: affacciati sulle sponde dell’Oceano Pacifico, sembrano appartenere a due mondi destinati a non incontrarsi mai. Si tratta di due culture intimamente diverse, in tanti aspetti, di cui forse il più rilevante, da sempre, è stato quello legato all’organizzazione sociale: quella nipponica fondata sul rispetto di rigide gerarchie e quella americana, diametralmente opposta, fondata sull’idea della più profonda mobilità. Tuttavia, questo articolo si propone di mostrare come la storia di queste due realtà, così lontane, si sia incrociata negli anni ‘50 del XIX secolo e come il Giappone che conosciamo oggi sia stato cambiato dall’incontro con i navigatori americani dell’anno 1853. Le relazioni tra Stati Uniti e Giappone da quel momento in poi si sono rivelate di fondamentale importanza per lo sviluppo della politica internazionale.
Il primo incontro nel 1853
Nel 1853 il Giappone era una società feudale basata sull’agricoltura, che rinnegava profondamente lo sviluppo industriale e l’apertura a qualsiasi tipo di contatto con il mondo esterno. Era governato dal regime Tokugawa, basato su una gerarchia sociale che vedeva al primo posto gli Shogun (signori locali), poi i baroni e infine i guerrieri, conosciuti come Samurai. Quando Matthew Perry, ammiraglio americano, approdò in Giappone, chiese al governo locale l’apertura dei porti alle relazioni commerciali con gli Stati Uniti. In quell’anno il corso della storia giapponese cambiò per sempre: nonostante alcune dispute interne, si decise per l’accettazione della proposta statunitense, per il semplice motivo che i governanti nipponici capirono che era meglio approcciarsi agli Stati Uniti in maniera positiva piuttosto che rischiare di diventare una loro colonia, non essendo in grado di fronteggiarli in un ipotetico confronto militare. Tuttavia, l’aspetto più interessante di questo incontro fu che il nuovo regime, incarnato dalla dinastia imperiale Meiji, diede inizio a un progetto di ristrutturazione della propria economia. Imitando le tecnologie dei nuovi partner commerciali e incorporando il loro sistema economico, il Giappone divenne uno stato economicamente competitivo e politicamente rispettato, tanto da essere riconosciuto dopo la Prima guerra mondiale come la prima potenza mondiale asiatica. Ottenne, inoltre, legittimazione in seno a un’organizzazione internazionale del calibro della Società delle Nazioni, al pari di Gran Bretagna, Francia e altri stati occidentali.
La crescita dell’economia giapponese e la sua deriva militarista
Se è vero che il Giappone fu in grado di imitare le tecnologie degli americani, trasformare un’economia feudale in una industriale ed entrare nel circuito economico mondiale in brevissimo tempo, è anche vero che per farlo si avvalse soprattutto di uno sviluppo industriale in settori strategici. Infatti, il timore nipponico di un’invasione coloniale condusse gli strateghi giapponesi a incrementare la produzione di armamenti. Naturalmente si avvalsero di questa produzione per attaccare la Cina nel 1894, poi la Russia nel 1905 e annettere la Corea nel 1910. Questi atteggiamenti profondamente aggressivi a livello regionale non lasciavano presagire nulla di buono. Infatti, il Giappone fu tra i primi fornitori di armamenti durante la Prima guerra mondiale, da cui trasse enormi guadagni per un’ulteriore sviluppo economico che lo portò ad attaccare la Manciuria e la Cina, nuovamente, rispettivamente nel 1931 e nel 1937. A questo punto, sembra quasi scontata la partecipazione del Giappone alla Seconda guerra mondiale al fianco delle potenze nazifasciste: in buona sostanza, il governo giapponese aveva fatto della guerra il suo strumento di crescita economica e del militarismo il suo imperativo politico. Nel 1941 decise di attaccare la base militare statunitense di Pearl Harbor, che portò gli USA in guerra. Da quel momento le relazioni tra Stati Uniti e Giappone cambiarono radicalmente: con le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki dell’agosto 1945, un secolo dopo aver portato il Giappone sulla scena internazionale, gli Stati Uniti lo eliminarono dallo scacchiere mondiale.
La ripresa economica giapponese: un nuovo rapporto con gli USA
Nel secondo dopoguerra, gli Stati Uniti mantennero inizialmente il pugno duro rispetto al reintegro del Giappone nel nuovo ordine mondiale. Tuttavia, le contingenze li costrinsero a rivedere i loro programmi: innanzitutto, la Cina divenne comunista nel 1949 e, solo un anno più tardi, nel 1950, la guerra di Corea rischiava di espandere ulteriormente il comunismo in Asia orientale. In un mondo che si preparava alla competizione ideologica, gli Stati Uniti potevano contare su un ultimo alleato rimasto nell’Asia Pacifico: il Giappone. Decisero allora di riabilitarlo all’economia mondiale e di garantirne la ripresa economica, mediante sovvenzioni e tutele, come scudo all’ulteriore diffusione del comunismo in quell’area. Ancora una volta, le relazioni tra Stati Uniti e Giappone erano state rifondate a causa di contingenze e necessità storiche.
Conclusioni: una storia di amici e nemici
Probabilmente, a guardarli oggi, non si direbbe che si tratti di due stati così strettamente interconnessi. Quello che la storia ci racconta è la vicenda di due stati amici e nemici a seconda delle contingenze. Da una parte, gli Stati Uniti hanno guidato i rapporti grazie alla propria forza economica e militare; dall’altra, il Giappone, da sempre degno avversario per lungimiranza e astuzia, è stato in grado di apprendere dall’esempio straniero, sfruttando sapientemente i propri punti di forza.
Fonte Immagine in Evidenza: foto di jorono da Pixabay Internazionale Striscione Bandiera – Foto gratis su Pixabay
Fonte informazioni Storiche: di Paolo Wulzer dal corso di Storia della Politica Internazionale – A.A. 2024-2025 UNIFIND – UNIOR – WULZER Paolo
Fonte informazioni Storiche: P. Knox, J. Agnew, L. Mccarthy, The Geography of the World Economy, 6th Edition, Routledge, 2014 The Geography of the World Economy – 6th Edition – Paul Knox – John Ag