Ti ammazzo e corro via, misoginia nella musica Pop

Ti ammazzo

«Ti ammazzo, ti picchio e poi corro via – cantava Cacho Castaña nel 1975 – Dicono che sono un violento, ma non dimenticare che sono veloce. Dicono che ero geloso, ma non dimenticare che ero un imbroglione

Questa e molte altre sono le canzoni utilizzate da una classe di studenti e studentesse argentini per rappresentare la violenza di genere nei testi della musica Pop che “consumiamo” abitualmente. Sono le hit dell’estate, canticchiate sotto la doccia, spesso senza conoscerne il significato. Ma che un significato hanno. E spesso terrificante.
Nella mostra, allestita in un Istituto Superiore di Buenos Aires, i ragazzi e le ragazze hanno utilizzato delle barbie per riprodurre le frasi misogine e violente di Maluma, Kevin Roldán, Romeo Santos, Arjona, Cacho Castaña, Pimpinela e tanti altri.
Le immagini della mostra, tenutasi durante il fine-settimana, sono diventate rapidamente virali.

«Non ti immagini che rospo ho dovuto ingoiare – cantano i Los Chakales – se fosse stata con un altro uomo non mi sarebbe importato. Non compresi quest’ironia della vita, sparai senza preoccuparmi di poterla uccidere.»

E ancora, Como la tele, dei fratelli Lucìa e Joaquìn Galàn: «Non c’è nessuno che capisca le donne. Ci provo da anni. Dovrebbero essere come la televisione, che ha un manuale di istruzioni. Accendile con telecomando. Spegnile toccando un pulsante e se si rompono o si graffiano, rispediscile indietro.»

Perfettamente centrato, dunque, l’obiettivo degli studenti argentini: analizzare l’impatto che la musica ha sull’apprendimento e la naturalizzazione dei comportamenti misogini. Infatti, sono proprio l’emarginazione delle donne, il comportamento autoritario nei loro confronti e la leadership maschile alcune delle caratteristiche della violenza sessista identificate in classe.

Un esempio è il desiderio di un uomo che la sua partner accetti tutto ciò che fa. Il cantante di reggaeton colombiano Kevin Roldàn lo esplica ne La Muda, a cui gli studenti hanno accompagnato una bambola legata e imbavagliata: «Voglio una donna molto carina e tranquilla, che non dica di no. Che quando vado la sera e torno la mattina lei non dice no. Prendilo, stai zitta e non dire no.»

Carolina de la Fuente, l’insegnante che ha organizzato il programma di educazione sessuale, spiega che gli studenti hanno riflettuto durante tutto l’anno su misoginia, oggettivazione e femminicidi aiutandosi con materiali informativi e giornalistici.  Per la mostra, hanno poi deciso di recuperare le bambole con le quali avevano lavorato sui canoni di bellezza.

«Abbiamo iniziato ad ascoltare reggaeton e cumbia, che è la musica che ascoltano di più. Molti dei testi in analisi utilizzano le parole “Ti ammazzo” e questo è terrificante. – racconta De la Fuente – “Durante l’esposizione, una donna è stata commossa da una poesia appesa al muro e ha chiesto un abbraccio, un’altra madre si è fermata ad ogni canzone per spiegare alla figlia ciò che vedeva, alcuni nonni hanno litigato con la nipote che spiegava loro che la mostra non era una mancanza di rispetto verso donne.»

E il dibattito continua ancora, amplificato, attraverso i social, dove gli applausi si mescolano alle critiche per l’iniziativa.

Immagine: Radio Mitre

A proposito di Maria Laura Amendola

Nata a Potenza il 28 giugno 1993, madre australiana e papà Irpino. Impegnata, per diversi anni, in organizzazioni a carattere sociale e culturale, ho prediletto come ambito il femminismo e le battaglie contro le disuguaglianze di genere. Nel 2021, è nata la mia prima opera letteraria, "Una donna fragile", Guida Editori.

Vedi tutti gli articoli di Maria Laura Amendola

Commenta