Tra i filosofi che inaugurarono un nuovo paradigma, allontanandosi dalla fiducia positivista, troviamo Henri Bergson. Filosofo francese considerato un “maître à penser”, Bergson divenne un punto di riferimento per chi contestava il valore assoluto della scienza. In particolare, la sua riflessione sul tempo introduce una distinzione fondamentale tra il tempo della scienza e il tempo della vita, delineando una concezione del tempo come durata che influenzerà profondamente il pensiero del Novecento.
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Tempo della scienza e tempo della vita a confronto
La critica di Bergson al positivismo si concentra sulla pretesa della scienza di spiegare esaustivamente la realtà, inclusa l’esperienza interiore del tempo. Egli non nega l’utilità della scienza, ma ne delimita il campo d’azione, distinguendo due concezioni del tempo radicalmente diverse.
Concetto | Caratteristiche principali |
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Tempo della scienza | È quantitativo, astratto, omogeneo e reversibile. Viene concepito come una successione di istanti separati (metafora della collana di perle) e compreso attraverso l’intelligenza analitica. |
Tempo della vita (durata) | È qualitativo, concreto, eterogeneo e irreversibile. Viene vissuto come un flusso continuo in cui il passato si conserva nel presente (metafora del gomitolo di lana) e colto attraverso l’intuizione. |
Il tempo della scienza: quantitativo e spazializzato
Secondo Bergson, il tempo della scienza è un tempo misurabile, reversibile e “spazializzato”, cioè concepito come una linea retta su cui si dispongono gli istanti. È il tempo degli orologi e delle formule matematiche, caratterizzato da una successione di istanti distinti e omogenei, tutti uguali tra loro. Per illustrare questo concetto, Bergson usa la metafora della collana di perle: ogni perla è un istante, separato e identico agli altri. Questo tempo è uno strumento pratico per organizzare la vita, ma secondo il filosofo non corrisponde alla nostra reale esperienza interiore.
Il tempo della vita: la durata colta dall’intuizione
Il tempo della vita, che Bergson chiama durata (durée), è invece qualitativo, interiore e irreversibile. È il tempo della coscienza e della memoria, un flusso continuo in cui passato, presente e futuro si compenetrano. Per cogliere questa realtà, l’intelligenza analitica della scienza è inadeguata; è necessaria l’intuizione, una forma di comprensione immediata e profonda. Bergson descrive la durata con la metafora del gomitolo di lana o della valanga. Ogni momento vissuto non si perde ma si accumula nella nostra memoria, arricchendo e modificando la nostra coscienza. Quando diciamo: «Il tempo è volato» o «Questo tempo non passa mai», ci riferiamo proprio a questa percezione soggettiva, influenzata dalle nostre emozioni, perché sull’orologio le ore sono sempre le stesse.
L’eredità della durata: da Bergson a Proust
La distinzione tra tempo della scienza e tempo della vita è fondamentale nella filosofia di Bergson, come approfondito in opere quali “Saggio sui dati immediati della coscienza” e “L’evoluzione creatrice”, ampiamente analizzate da fonti autorevoli come l’enciclopedia Treccani. La sua concezione della durata ha avuto un’enorme influenza, in particolare sulla letteratura del Novecento. L’esempio più celebre è Marcel Proust e la sua opera *Alla ricerca del tempo perduto*, dove il sapore di una madeleine intinta nel tè agisce non come un semplice ricordo, ma come un’intuizione che fa riemergere un intero passato vissuto, in un’esperienza che è la perfetta trasposizione letteraria del concetto bergsoniano di durata. Come sottolineato dalla Stanford Encyclopedia of Philosophy, il pensiero di Bergson ha aperto nuove prospettive sulla comprensione della coscienza e dell’esperienza umana.
Fonte immagine in evidenza: Pixabay
Articolo aggiornato il: 17/09/2025