Genitorialità consapevole: una simbolica “nascita a tre”

genitorialità

La psicologa di Eroica(mentis) parla di genitorialità: cosa vuol dire essere genitore?

Essere genitore, cosa significa oggi? È una scelta che va oltre il desiderio di “avere un figlio” e che non coincide necessariamente con il decidere di diventare genitori. Può sembrare una banalità sottolineare questa differenza, in realtà sostanziale ed importante.

La genitorialità consapevole è un percorso di crescita e di cambiamento, che vuol dire, dal punto di vista pratico, assumersi delle responsabilità che richiedono tempo e impegno; dal punto di vista psicologico, è un complesso percorso di adattamento di acquisizione di una nuova identità, come madre e come padre; dal punto di vista della coppia rappresenta la realizzazione di un desiderio condiviso. L’arrivo di un figlio assume un significato sociale e intergenerazionale in quanto garantisce la prosecuzione generazionale di quella famiglia d’origine mantenendo il continuum biologico, psicologico e culturale del proprio patrimonio familiare.

Il genitore deve essere testimonianza, non deve cioè educare solo attraverso le parole. I comportamenti e le azioni, il modo di essere dimostreranno al figlio come stare al mondo via via che i bisogni fondamentali (protezione, nutrimento) si legano a bisogni emotivi e relazionali , di crescita. Più che educare inteso come sforzo di ammaestramento del bambino prevale un dover essere che è indipendente sia dalla persona del genitore che da quella del figlio. Educare significa anzitutto mettere in gioco il proprio modo di essere autentico e infondere nel bambino sicurezza o insicurezza, fiducia o sfiducia, stima o disistima di sé.

Françoise Dolto, nota pediatra e psicoanalista infantile francese nonché autrice di numerosi volumi sull’infanzia e sulla genitorialità, ha proposto l’immagine metaforica dell’albero per spiegare meglio questo concetto: «L’albero giovane è un germoglio piccolissimo e fragile ma già sappiamo se avrà tre o quattro rami principali. In seguito potranno svilupparsi le fronde, ma avrà sempre i suoi tre o quattro rami principali che ne hanno costituito la struttura di partenza

I genitori dovranno essere inoltre portatori di fede e non di fiducia (essa implica la necessità che sia ricambiata) pertanto devono essere disposti a perdere, ad abbandonare le loro aspettative/ideali sui figli o qualsiasi tipo di progetto/idea. In questo modo il bambino potrà sentirsi amato senza il rischio di colludere con i desideri del genitore che vuole che diventi ciò che lui/lei non è riuscito a realizzare nella vita o al contrario che possa rispecchiare esattamente le scelte personali e professionali. Da questa forma di rispetto deriva lo sviluppo della fiducia in se stesso e la possibilità di espressione autentica che lo aiuterà a non avere timore di deludere le aspettative dei suoi genitori.

Promettere senza fare promesse. Le promesse che facciamo ai nostri figli non dovranno essere promesse di felicità legate prevalentemente all’idea secondo la quale per essere felice è necessario possedere oggetti o cose. Un bambino è felice se non viene chiuso nel mondo degli oggetti. Potrà essere felice se i suoi genitori lo aiuteranno a scoprire nuovi mondi, a fare nuove esperienze, nuovi incontri, nuovi progetti.

Non si diventa genitori per essere amati dai bambini, ma per essere presenti nel sostenere il loro sviluppo armonico con presenza e autenticità. Ogni essere nasce con una sua unicità e il genitore deve rispettare e promuovere lo sviluppo di questo bene prezioso, che è sì parte di sé, ma anche qualcosa di profondamente diverso da coloro che lo hanno generato. «Nessun bambino è senza genitori e nessun bambino è dei genitori. Ogni bambino è se stesso e, come tale, non assomiglia a nessuno. Nato dalla congiunzione di tre desideri: quello del padre, della madre e il suo, darà atto a una vita che dobbiamo riconoscere esserci ignota»Françoise Dolto.

Immagine: Joyfulfamilylife

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