Moeh Esse, il mestiere del food blogger: intervista

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Moeh Esse, food blogger per passione

Marco Melito, in arte Moeh Esse, classe 1991, di mestiere food blogger. La sua pagina conta migliaia e migliaia di iscritti su Instagram, forte di una crescita che pare non esaurirsi nonostante il periodo di crisi per la ristorazione, causato dal Covid. Spulciando il suo profilo social è possibile scrollare centinaia di piatti e pietanze in giro per il napoletano, scovando consigli preziosi che, una volta finite le restrizioni, torneranno di certo utilissime. Abbiamo avuto il piacere di intervistare Marco, e quanto si leggerà è il resoconto di un piacevole scambio di battute avvenuto telematicamente.

Ciao Marco, come hai iniziato la tua attività di foodblogger? Da dove nasce Moeh Esse?

Questa è una bella storia, almeno per me che la racconto. La passione per la cucina mi accompagna da sempre, da quando da bambino guardavo mia madre ai fornelli. C’è stato, però, un lungo periodo della mia vita in cui sono stato lontano dal cibo e dalla cucina: sono anni di cui non parlo molto volentieri. Col tempo, comunque, quella passione che era stata un po’ lasciata nei cassetti, è tornata quasi con prepotenza. Avevo già iniziato un discreto percorso su Instagram che mi ha permesso di incontrare Valeria Pezzeri, Licia Sangermano e FoodErgoGram, che hanno iniziato ad invitarmi a pranzi e cene “social”, con stampa e altri foodblogger. Da lì, il passo è stato brevissimo: ho iniziato a recensire locali e ristoranti e poi a proporre le mie ricette. È nato “Unconventional Life”, il mio blog, che ora condivido con LaZimbi.

Fondamentale per la tua attività è il tuo lavoro su Instagram. Qual è il tuo rapporto con i social media?

Tutto ruota attorno a Instagram (e al blog). È, come tutti i social, facile, diretto e veloce. Puoi pubblicare una ricetta e avere subito il confronto con gli utenti e il pubblico. Poi, ora, con la possibilità delle stories e delle dirette, puoi farti conoscere sicuramente di più rispetto ai soli post. Le persone possono vedere come ti muovi ai fornelli, possono ascoltare la tua voce: diventa un contatto e una conoscenza più intimi. Dall’altra parte, ovviamente, bisogna stare attenti  a non dipendere dai profili, né dal parere dei cosiddetti haters, sempre pronti a criticare ogni minimo dettaglio. Per quanto mi riguarda, cerco di proporre un social semplice, essenziale, senza troppe costruzioni anche e soprattutto nelle foto. L’utente medio cerca spontaneità e sincerità, non profili e personaggi (non più persone) costruiti.

Influencer, fotografo, critico gastronomico, giornalista. La tua è una attività dai mille volti e dalle mille competenze richieste. Secondo te, in cosa consiste l’essenza del mestiere del foodblogger?

Questo è un discorso difficile da far capire, soprattutto da noi al Sud dove food blogger e influencer sono spesso criticati, ed il cui lavoro è ancora più spesso sminuito, non considerato, sottopagato o addirittura non pagato.
Non siamo solo “quelli che cucinano e mangiano”. Siamo persone (molte volte lo si dimentica…) che condividono con gli altri una propria passione. Alcuni di noi (soprattutto da Roma in su), invece, fanno questo come unico lavoro. Ideiamo una ricetta o una preparazione, costruiamo set fotografici, regoliamo le luci, scattiamo. Poi selezioniamo le foto, le editiamo al computer e scriviamo gli articoli che devono rispettare i parametri di pubblicazione e le leggi europee. Siamo sempre lì a studiare le nuove normative, le tecniche di marketing online, i trend fotografici, gli aggiornamenti dei social. Senza parlare dello studio che c’è a monte, sulle materie prime o, per esempio, sugli chef che hanno utilizzato un determinato prodotto. Insomma, dietro la foto pubblicata ci sono ore e ore di lavoro. Quando, invece, recensiamo un locale, un menù o un ristorante le competenze da mettere in gioco sono altre: cultura sulla tradizione di un luogo, la storia dello chef ma soprattutto la sincerità del proprio palato.

Quali progetti hai in mente per il futuro? La tua attività sembra sempre più in ascesa, a dispetto di locali e ristoranti che chiudono a causa del Covid.

Il periodo storico che stiamo vivendo è, probabilmente, il più difficile vissuto dalla ristorazione italiana. Quando parlo con gli chef, i ristoratori, i gestori dei locali con cui si è instaurato un rapporto sento nelle loro voci le difficoltà che hanno. Sono le stesse difficoltà che incontrano le piccole e medie realtà produttive italiane. Nel mio piccolo, ho iniziato, già durante il primo lockdown, una “campagna di sensibilizzazione” che spinge all’acquisto di prodotti italiani. Poi pubblicizzo delivery e asporto dei ristoranti e locali vicino casa. Anche nelle mie ricette, cerco di parlare spesso delle piccole aziende italiane, che meritano tutte un po’ di visibilità. Anche gli altri blogger, devo dire, stanno facendo questo tipo di comunicazione, come se ci fosse stato tra tutti noi un tacito accordo. Credo sia fondamentale il nostro contributo in questo. Per il futuro, nello specifico, ho intenzione di curare una rubrica con le ricette tradizionali campane e una, più complicata, che spiega come riprodurre a casa le ricette di chef stellati.

Ringraziamo Moeh Esse per la disponibilità e la cortesia.

Fonte dell’immagine: Ufficio stampa

A proposito di Matteo Pelliccia

Cinefilo, musicofilo, mendicante di bellezza, venero Roger Federer come esperienza religiosa.

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