La fatica di affrontare apertamente il tema della salute mentale e della discriminazione è ancora evidente. Il talk “salute mentale e identità nella comunità LGBTQIA+” organizzato per La Pride Croisette ha rappresentato un potente atto collettivo di testimonianza, ascolto e proposta.
Un evento nato dalla volontà di fare luce su un tema spesso sottovalutato o strumentalizzato: il benessere psicologico delle persone LGBTQIA+, in particolare dei giovani, e le sfide che incontrano in una società che ancora non garantisce loro piena accoglienza e pari dignità.
Il dibattito, aperto e moderato da Ali Bravini, responsabile del Centro di Documentazione Marco Sanna del Circolo Mario Mieli, ha visto la partecipazione di numerose voci del panorama associativo, istituzionale e professionale romano: Paola Corneli (presidente di AGEDO), Arianna Genovese (responsabile del Centro Antidiscriminazione del Circolo Mario Mieli), Lorenzo Marinone (consigliere comunale di Roma con delega alle Politiche giovanili), Marco Lombardo (Associazione Giosef – giovani senza frontiere), la psicoterapeuta Florinda Barbuto e Agostino Lanzetta (Gruppo Giovani del Circolo Mario Mieli). Momento centrale e profondamente toccante è stata la testimonianza di Silvano e Chiara, genitori di Nicolò Fraticelli, giovane ragazzo della comunità LGBTQIA+ morto suicida.
La storia di Nicolò: dal dolore privato a un appello pubblico
Il talk si è aperto con un video di Nicolò, giovane solare e pieno di sogni, che raccontava con freschezza i suoi spaccati di vita: diventare padre un giorno, le aspettative e il piacere di vivere la propria identità in spazi sicuri e ricreativi come il Muccassassina, nota discoteca romana. Un video che ha sottolineato con forza la vitalità e umanità di un ragazzo la cui morte ha lasciato un vuoto e molte domande irrisolte e che forse tali resteranno.
I genitori di Nicolò hanno condiviso la loro dolorosa esperienza: l’accoglienza in famiglia, il rapporto stretto con il figlio, l’apparente normalità della vita quotidiana fino a pochi minuti prima della tragedia. Un mistero che, come ha sottolineato Silvano, “non vogliamo sciogliere sul piano personale, ma che ci spinge a dire che c’è una verità collettiva che grida”. Ogni giorno in Italia circa dieci giovani come Nicolò si tolgono la vita: una statistica che denuncia una crisi profonda e sistemica. I genitori hanno anche testimoniato le difficoltà incontrate persino nel proporre un’educazione all’affettività nelle scuole, ostacolata da mancanza di fondi e resistenze ideologiche. Una realtà che dimostra quanto lavoro ancora ci sia da fare.
Salute mentale e identità: il ruolo della famiglia nell’esperienza di AGEDO
Paola Corneli, presidente di AGEDO (Associazione Genitori di Omosessuali), ha evidenziato l’importanza del sostegno familiare come fattore protettivo fondamentale per la salute mentale delle persone LGBTQIA+. AGEDO, nata 35 anni fa dall’iniziativa di una madre che cercava confronto dopo il coming out del figlio, oggi accompagna genitori e figli in un percorso di accettazione e crescita.
Corneli ha ricordato però che, nonostante i progressi apparenti, l’omotransfobia latente nella società continua a ferire profondamente i più giovani, spesso già oggetto di bullismo a scuola o di isolamento sociale. “Veniamo allevati a latte e omofobia”, ha detto con amarezza, sottolineando quanto il lavoro educativo e culturale sia ancora essenziale.
I limiti delle istituzioni e la forza delle reti associative per la salute mentale
Arianna Genovese ha illustrato l’attività del Centro Antidiscriminazione del Circolo Mario Mieli e dei nuovi sportelli LGBTQIA+ avviati nei municipi romani. Attraverso la Rainbow Line e gli sportelli, in tre anni sono state raccolte circa 2000 richieste, che spaziano dall’orientamento sanitario alla richiesta di supporto psicologico, fino alla gestione di casi complessi.
Le persone trans e neurodivergenti incontrano ancora barriere pesantissime nell’accesso ai servizi sociosanitari, questo è un fatto. Molti professionisti della salute mentale e CSM (Centri di Salute Mentale), nel loro approccio tendono ancora a patologizzare l’identità di genere, nonostante la disforia di genere non sia più tra le “patologie” del DSM, costituendo di fatto un ulteriore sbarramento per l’auto-affermazione di genere.
Le istituzioni locali: un contributo che non basta
Il consigliere comunale Lorenzo Marinone ha raccontato l’esperienza del progetto Mente Libera, promosso dal Comune di Roma: incontri gratuiti con psicologi in spazi non medicalizzati come le biblioteche, per abbattere lo stigma legato alla salute mentale. Un progetto che ha avuto grande successo, ma che evidenzia anche quanto sia necessario rendere questi interventi permanenti e istituzionalizzati.
Come sottolineato dallo stesso Marinone, oggi la salute mentale non deve essere più un lusso per pochi, ma un diritto garantito come quello all’assistenza medica di base. Ma la questione “psicologo di base” è un argomento di cui piace riempirsi la bocca ma, effettivamente, è ancora un progetto campato in aria.
Tuttavia, le barriere burocratiche e culturali restano forti anche per lavorare nelle scuole: uno degli ostacoli maggiori risiederebbe nel consenso genitoriale alla trattazione di determinati argomenti, che spesso verrebbe negato a prescindere e sulla scia di pregiudizi sociali.
Salute mentale e identità: il contributo della comunità
Gli interventi della serata hanno messo in luce l’importanza della creazione di spazi sicuri dove le persone LGBTQIA+ possano crescere, esprimersi e costruire legami.
L’associazione Giosef, ad esempio, lavora sul territorio con metodi di educazione non formale, rivolgendosi ai giovani attraverso giochi, laboratori, social network e progetti europei. Il Circolo Mario Mieli, da oltre 40 anni, è uno spazio protetto che accoglie giovani spesso soli e vulnerabili in una grande città come Roma. La testimonianza di Agostino ha raccontato la forza salvifica di questi spazi, che suppliscono alle mancanze delle istituzioni e delle famiglie.
Il punto di vista psicologico: salute mentale e stigma invisibile
La psicoterapeuta Florinda Barbuto ha offerto un’analisi lucida: non è l’identità LGBTQIA+ in sé a generare disagio mentale, ma l’ambiente sociale ostile, la mancanza di accoglienza, lo stigma e la discriminazione. I fattori di rischio aumentano, quelli di protezione diminuiscono. Le famiglie, la scuola e i servizi pubblici dovrebbero agire per invertire questa tendenza.
Barbuto ha calcato la mano sull’urgenza di incrementare la formazione dei professionisti della salute mentale e di investire in studi aggiornati, perché troppo spesso le decisioni politiche vengono prese senza dati, ma sulla base di ideologie. Infine, ha ribadito l’importanza dei “luoghi sicuri”, spazi in cui i giovani possano essere se stessi senza paura.
Un appello collettivo
Il talk si è concluso con un sentito ringraziamento da parte di Mario Colamarino, presidente del Circolo Mario Mieli, che ha consegnato un simbolico riconoscimento ai genitori di Nicolò, definendoli “un esempio di resistenza”. Non resilienza: resistenza contro un sistema ancora troppo lento nel riconoscere diritti e nel garantire protezione.
La salute mentale delle persone LGBTQIA+ è una questione sociale, politica e culturale che deve essere assunta come priorità dal sistema-paese. Non bastano gli sforzi delle associazioni o dei singoli comuni. Serve una strategia nazionale che garantisca:
- educazione all’affettività e al rispetto nelle scuole,
- sportelli psicologici stabili,
- formazione aggiornata per i professionisti della salute,
- abbattimento delle barriere istituzionali,
- finanziamenti adeguati per la ricerca e il sostegno.
Il dolore per storie come quella di Nicolò deve trasformarsi in impegno concreto per costruire una società in cui ogni giovane possa crescere libero, accettato e amato per quello che è.
Per tutti gli eventi in programma consultare il sito ufficiale.
Fonte immagini: estratto della locandina e foto scattata in loco.