Doi Takeo: storia della psicoanalisi in Giappone

Doi Takeo

Nonostante l’approccio freudiano sia approdato nell’arcipelago all’inizio del ventesimo secolo con gli articoli del dottore in psicologia Ō. Kaison, nel 1912, e lo Studio sul sesso e la psicoanalisi di Sakaki, nel 1919 , sono stati gli anni ’50 a segnare un punto di svolta fondamentale per l’interpretazione del comportamento sociale nipponico e per la psicoanalisi in Giappone. Sei anni dopo l’uscita di Ongaku (音楽, Musica, 1965 ) di Mishima Yukio (三島 由紀夫, 1925-1970), romanzo che tratta l’interpretazione psicoanalitica di un caso di frigidità, nel 1971, sulle mensole delle librerie nipponiche fece la sua prima apparizione Anatomia della dipendenza di Doi Takeo (土居健郎, 1920-2009).

L’avventura di Doi Takeo in Occidente 

Il celebre psicoanalista, con le sue conoscenze tecniche, ha provato a forgiare una chiave di lettura per alcuni aspetti cruciali del comportamento dei suoi connazionali.
I viaggi negli Stati Uniti di Doi, dall’immediato dopoguerra in poi, lo portarono a scontrarsi con un popolo dalla mentalità e dai modi di fare particolarmente insoliti per lui, spingendolo a riflettere sulle peculiarità che lo rendevano giapponese. All’incognita, che tutt’ora persiste, riguardo la possibilità di curare una mente orientale con la psicanalisi occidentale, Doi Takeo trovò risposta nel “saper ascoltare, lasciando che il noto diventi alieno e, all’unisono, illuminante”. Fu così che, dopo un attento studio sul pensiero, sul linguaggio e sulla cultura propri del suo paese natio, postulò uno dei punti cardine della Psicoanalisi in Giappone: la sua personale nozione di amae. Quest’ultima deriva dal concetto giapponese di amaeru, che indica la dipendenza dalla benevolenza altrui, tipica del bambino nei confronti della madre dall’età in cui diventa consapevole di ciò che lo circonda.
Lo psicoanalista nipponico, analizzando l’etimologia del termine amae nell’uso moderno, ipotizzò un collegamento tra la radice amae il termine infantile uma-uma, che indica la richiesta di seno materno o di cibo da parte del bambino. Secondo lui, le radici di questo comportamento affondano nel periodo postbellico, in cui l’abbandono delle restrizioni ideologiche imposte dal sistema imperiale non favorì la formazione dell’individualismo e, distruggendo i canali tradizionali dell’amae, contribuì a fomentare la confusione spirituale e sociale.

Il fallimento sociale degli adulti

Un altro spunto di riflessione per l’avanzamento degli studi sulla psicoanalisi in Giappone furono i moti studenteschi del ’68-’69. Le proteste, esplose su scala globale, in Giappone sembravano scagliarsi in particolare contro il vecchio sistema universitario, incapace di adattarsi ai mutamenti della società postbellica.
Tuttavia, si può individuare il vero punto nevralgico del conflitto generazionale nel fallimento sociale degli adulti.
Doi lo spiega tramite la celebre storia di Momotarō:

Nonostante l’affetto che nutre per i genitori, non riesce a identificarsi con essi […] Una volta cresciuto, scopre lo scopo della sua esistenza: la conquista dell’Isola dei Demoni, a cui consacra uno slancio che non ha saputo dirigere verso i genitori […] La vittoria sui demoni rappresenta per lui un’iniziazione all’età adulta”.

Coloro che erano studenti nel dopoguerra, però, ritrovarono i loro demoni nei detentori del potere; animati dall’ardente desiderio di costruire una società migliore e di riuscire laddove i loro predecessori avevano fallito.
A consolidare la teoria dell’amae e dell’attaccamento materno, inoltre, è il fallimento della figura paterna nella società postbellica. Il manifesto “non fermarci, Mamma, i ginkgo  piangono” degli studenti dell’Università di Tokyo era esclusivamente rivolto alle loro genitrici, le uniche capaci di comprendere i sentimenti che li animavano. I padri, d’altra parte, erano vittime di un forte senso d’alienazione e dissidio interiore. Data la crisi che stava colpendo la società, in cuor loro non ritenevano giusto inculcare gli ideali e i valori di quel momento storico nella mente dei propri figli ma, allo stesso tempo, si sentivano socialmente obbligati, in quanto giapponesi, a difendere il sistema sociale in cui erano nati e cresciuti.

Fonte immagine: Amazon – Raffaello Cortina Editore

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A proposito di Christian Landolfi

Studente al III anno di Lingue e Culture Comparate (inglese e giapponese) presso "L'Orientale" di Napoli e al I anno di magistrale in Chitarra Jazz presso il Conservatorio "Martucci" di Salerno. Mi nutro di cultura orientale in tutte le sue forme sin da quando ero piccino e, grazie alla mia passione per i viaggi, ho visitato numerose volte Thailandia e Giappone, oltre a una bella fetta di Europa e la totalità del Regno Unito. "Mangia, vivi, viaggia!"

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