Streghe di Zugarramurdi: tra paura e inquisizione

Streghe di Zugarramurdi: tra paura e inquisizione

Le streghe di Zugarramurdi non sono soltanto una leggenda popolare, ma un fatto storico realmente accaduto. Nel corso dei secoli l’Europa è stata attraversata da innumerevoli vicende di caccia alle streghe, alimentate dalla paura dell’ignoto, dal fanatismo religioso e dal bisogno di trovare capri espiatori nei momenti di crisi. Anche il piccolo villaggio di Zugarramurdi, nei Paesi Baschi, divenne teatro di uno dei processi più famosi e spietati dell’Inquisizione spagnola.

L’inizio della caccia alle streghe

L’origine di questa oscura vicenda risale ai primi decenni del XVII secolo quando una giovane donna del villaggio, María de Ximildegui, tornata dopo un periodo trascorso in Francia come cameriera, confessò di aver fatto parte di una setta di streghe e di esserne stata un membro attivo fino al suo pentimento e il conseguente ritorno alla fede cattolica. Raccontò di essere stata coinvolta in riunioni notturne, presunti sabba e riti proibiti nelle grotte locali. La situazione si fece ancora più tesa quando ai propositi inquisitoriali si unì la collera della popolazione di Zugarramurdi, spinta dalla paura e dall’ignoranza, alla ricerca di un capro espiatorio. In questo clima di paranoia e superstizione, ogni comportamento insolito poteva trasformarsi in prova di colpevolezza, e la tensione sociale cresceva di giorno in giorno, preparando il terreno per una delle più drammatiche cacce alle streghe della storia spagnola.

Streghe di Zugarramurdi: tra paura e inquisizione

Grotta di Zugarramurdi (foto di JMSE, Wikimedia Commons)

Il processo dell’inquisizione e l’autodafé

A partire dai primi mesi del 1609, a guidare le indagini furono Alonso Becerra Holguín e Juan Valle Alvarado, due membri eminenti dell’Inquisizione di Logroño, che raccolsero testimonianze, interrogatori e accuse, trasformando una vicenda locale in un caso di risonanza storica. Le prime inchieste portarono all’arresto di quattro donne. Fu l’arrivo, nel giugno dello stesso anno, del terzo inquisitore, Alonso de Salazar y Frías, a far scattare appieno il meccanismo inquisitoriale; sotto la sua supervisione furono arrestate altre ventisei persone, tutte accusate di stregoneria, portando il totale degli imputati a trentuno.

L’autodafé, una solenne cerimonia pubblica dell’Inquisizione in cui venivano proclamate le sentenze contro gli accusati di eresia o stregoneria, si tenne il 7 e l’8 novembre 1610. Durante l’evento, in piazza, le sentenze venivano lette ad alta voce e gli imputati, spesso vestiti con tuniche speciali chiamate sambenito, venivano esposti al pubblico. L’autodafé non era soltanto un momento giudiziario, ma anche una manifestazione spettacolare e intimidatoria, volta a mostrare la forza dell’Inquisizione e ad ammonire la comunità contro il peccato e la stregoneria. Nel corso del processo, sei degli accusati furono condannati al rogo, mentre la maggior parte delle altre persone condannate morì lentamente nelle prigioni, in condizioni durissime, tra fame, freddo e malattie.

L’eredità di una vicenda oscura

Non è chiaro se le cosiddette streghe di Zugarramurdi praticassero realmente la stregoneria. È possibile, infatti, che molte delle attività attribuite loro, come la preparazione di rimedi a base di erbe medicinali per curare malattie comuni, siano state fraintese e interpretate come pratiche magiche o sataniche. Questo episodio, come tanti altri, ci mostra come l’Inquisizione abbia provocato vittime innocenti, basandosi su accuse spesso infondate, e quanto abbia diffuso terrore e paura tra le comunità, segnando profondamente la memoria collettiva.

Immagine in evidenza: dipinto di Francisco Goya (Wikimedia Commons)

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