Ho sempre amato molto soprattutto due musicisti napoletani: Pino Daniele ed Enzo Avitabile, molto diversi tra loro ma entrambi geniali. Enzo Avitabile ha realizzato tanti brani musicali di grandissima qualità perché è un musicista e un compositore raffinato. Spesso miscela suoni e idiomi di differenti paesi del mondo creando un sound tutto suo, unico ed originale.
I testi dei suoi brani sono intrisi di verità e, talvolta, le parole stesse diventano musica fondendosi con le note degli strumenti.
L’ho conosciuto ed ammirato già tantissimi anni fa, negli anni ’70, quando suonavo la chitarra in un gruppo rock. All’epoca, per provare i nostri “pezzi” andavamo nel garage del comune amico Antonello Lamberti a Rione Alto, zona Vomero alto. Quella stanza era molto grande e piena di strumenti appartenenti alle diverse band che si alternavano durante la settimana. Alcuni di questi gruppi erano molto più esperti di noi e tra questi c’erano anche gli ACHEI. Enzo giovanissimo, suonava il sassofono proprio con loro e noi ragazzi spesso li guardavamo e ascoltavamo con ammirazione per imparare qualcosa. Già allora Enzo primeggiava e si notava per la sua tecnica e inventiva da fuoriclasse.
Ma tornando al ritratto; l’incontro per le riprese è avvenuto nella casa di Avitabile dove insieme abbiamo studiato e preparato i vari scatti. Mentre montavo le varie attrezzature fotografiche, mi ha raccontato dei suoi nuovi esperimenti musicali, delle ricerche, degli ultimi progetti e dei suoi studi sulle musiche di popoli diversi, affascinandomi con la sua dialettica e la sua grande cultura.
Proprio queste sue fusioni e contaminazioni musicali, con inserti dalle atmosfere talvolta esotiche, mi hanno ispirato e, quando ho cominciato a guardami attorno per trovare qualche cosa che richiamasse le impressioni che avevo vissuto nell’ascoltarlo parlare con così tanta passione, ho notato su di un divano un telo con una trama zebrata che mi ricordava l’Africa. Avevo sicuramente trovato lo sfondo di uno dei ritratti che avrei realizzato.Appoggiai allora questo panno su di uno stativo, posizionai una sedia avanti e feci accomodare Enzo.
Ora avevo solo bisogno di un qualcosa…di un oggetto…di uno strumento che lo rappresentasse in maniera inequivocabile.
Nella stanza vidi una specie di strano clarinetto, era infatti più corto e più doppio: si trattava di un singolare strumento inventato proprio da lui chiamato “saxella”, un ibrido tra un sassofono e una ciaramella, che produce un misterioso suono di timbrica orientale che si può ascoltare in molti suoi brani e allora io gli chiesi di posare proprio con lui.
Tutto era pronto e in armonia, il mix di ingredienti era avanti a me. Provammo alcune pose e, alla fine, lo scatto fu appagante, come accade ogni volta che sento che non avrei potuto fare di meglio.
In auto, tornando verso casa, ero molto contento soprattutto perché avevo imparato tante cose e avevo capito di aver incontrato un grande con un cuore grande.
Augusto De Luca