Il Behaviorismo e il perché del nostro comportamento

Cosa influenza davvero le nostre azioni? Una domanda moderna si potrebbe pensare, risultato di studi moderni dovuti all’uso della tecnologia e dei social network, che ogni giorno, involontariamente, modificano i nostri comportamenti. Ed è qui che ci sbagliamo. Il behaviorismo è nato molto prima

E se tutto quello che ci circonda fosse una grande scatola che controlla i nostri comportamenti e influenza le nostre azioni?

Che ci sia un’ombra di complottismo è senza dubbi, ma quanto di ciò che noi osserviamo e che fa parte del nostro ambiente influenza le nostre azioni?

A interrogarsi su questo strano argomento per la prima volta fu John Watson in persona, all’inizio del Novecento. Il movimento creato dallo psicologo chiamato ”comportamentismo” o  ”behaviorismo” non si distanzia troppo dai metodi scientifici utilizzati attualmente perché faceva della scienza e dell’osservazione il suo metodo di verifica. Il suo studio era quindi fondato sullo studio scientifico del comportamento, cioè degli aspetti esteriori, praticamente osservabili, dell’attività mentale.

Chicca interessante è sapere che gli studi di Watson si basavano su una psicologia intesa diversamente da quella attuale, credeva infatti che grazie allo studio della mente era possibile prevedere e controllare il comportamento umano. Il suo intento era del tutto benevolo e attribuito a una visione utopica di una società che traesse beneficio da questa scoperta, ma resta un carattere inquietante dei suoi studi.

Cos’è il C?

Inquadriamo il ”comportamento” (o behavior) nel termine generale come una risposta a uno stimolo, perché risultato di un input sensoriale proveniente dall’ambiente esterno. Ma che tipo di stimolo è necessario per ottenere un una risposta?

A rispondere a questa domanda furono due studiosi:

Il primo fu quello effettuato da I. Pavlov, fisiologo Russo famoso per aver sperimentato uno degli esempi più caratteristici questa scuola di pensiero. Pavlov aveva sviluppato un procedimento semplice ma ingegnoso, in cui ogni volta che portava da mangiare al suo cane faceva tintinnare una campanella; Presentando insieme i due stimoli per un discreto tempo, lo studioso notò come l’animale iniziava a salivare al solo sentire il suono. In questi esperimenti, il suono fungeva da stimolo (un input sensoriale proveniente dall’ambiente esterno) che influenzava la risposta di salivazione del cane, il quale costituiva la risposta (un’azione o una modificazione fisiologica evocata da uno stimolo). E’ semplice osservare come in questo esperimento l’animale preso in considerazione sia totalmente passivo, in balia dell’esperimento dell’uomo con unico ruolo quello di vivere l’esperimento.

L’esperimento di Pavlov è il più caratteristico perché il più vicino alla nostra contemporaneità, basti pensare al nostro animale domestico che scodinzola o abbaia ogni volta che sente suonare alla porta.

Behaviorismo: L’uomo risponde passivamente agli stimoli dell’ambiente?

Nonostante l’efficacia dell’esperimento di Pavlov è bene ricordare che l’uomo non effettua un comportamento passivo di fronte a uno stimolo, ed è qui che il secondo esperimento prende forma.

L’esperimento più attivo è stato condotto da B. F. Skinner il quale iniziò a studiare gli animali in base ai loro comportamenti nel loro habitat. Il perché? Semplice, questo permetteva di osservare come, in una situazione di emergenza come la fame, o in preda a uno stimolo ormonale come la stagione degli accoppiamenti, un animale si comportasse di conseguenza. Voleva riuscire a individuare i principi dei comportamenti che spingessero gli animali all’azione. Così costruì una gabbia semplice, rinominata ‘’gabbia di Skinner’’ e vi sistemò dentro dei ratti. La gabbia era dotata di un semplice meccanismo che permetteva, grazie all’attivazione di una leva, il rilascio di una quantità di cibo. Quando l’animale dopo una serie di azioni casuali, associò l’attivazione della leva al rilascio di cibo, Skinner ottenne i suoi risultati. Per Skinner, il comportamento del ratto era una dimostrazione di quello che egli chiamava principio del rinforzo: ovvero, le conseguenze di un comportamento determinano se esso avrà maggiori o minori probabilità di essere prodotto in futuro.

La psicologia dello ‘’stimolo-risposta dunque, anche se nata più di un secolo fa resta del tutto attuale e aiuta a comprendere come e perché gli insegnamenti che vengono imposti da bambini sono spesso quelli più forti, troppo difficili da dimenticare. Aiuta a comprendere il perchè un bambino ripete un’azione se stimolato da un dolcetto o un giocattolo.

Sarebbe interessante comprendere quindi quanto di ciò che attualmente, nella vita di tutti i giorni, facciamo e diciamo dipenda dalla nostra completa volontà, e quanto invece sia solo di una risposta dovuta  a uno stimolo inputato in noi inconsciamente, in un momento della vita dove eravamo troppo piccoli per ricordare. Ma per ora lasciamo la scienza alla psicologia, e le teorie alla filosofia.

Fonte immagine sul Behaviorismo: Pixabay

A proposito di Giulia Salzano

Hi there! Sono Giulia Salzano e ho diciannove anni. Mi avrete visto quasi sicuramente seduta sul treno in direzione tra Napoli e Bologna a scarabocchiare sui quaderni. Non che ci abbia mai scritto nulla di ché.

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