Per Carl Gustav Jung, l’alchimia rappresentava la proiezione simbolica del processo di individuazione psicologica, ovvero il percorso che ogni individuo compie per realizzare il proprio Sé. Il grande psicoanalista svizzero vedeva nelle pratiche degli antichi alchimisti non un ingenuo tentativo di trasformare il piombo in oro, ma una potente metafora del lavoro interiore necessario per integrare gli opposti della psiche e raggiungere la completezza.
Questo interesse si radicò profondamente nella sua teoria quando si distaccò dal pensiero di Freud, postulando l’esistenza di uno strato psichico più profondo dell’inconscio personale: l’inconscio collettivo. È proprio in questa dimensione che l’alchimia trovò la sua collocazione come una delle più grandi anticipazioni della moderna psicologia del profondo.
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Dall’inconscio personale al collettivo: la chiave degli archetipi
L’inconscio collettivo, secondo Jung, è un substrato psichico universale e innato, condiviso da tutta l’umanità. I suoi contenuti sono gli archetipi: forme e immagini primordiali che si manifestano nei miti, nelle fiabe, nelle religioni e nei sogni di ogni cultura. Questi archetipi non sono forme statiche, ma fattori dinamici, tendenze istintive che modellano l’esperienza umana. L’Istituto C.G. Jung di Zurigo definisce l’archetipo come una “struttura tipica dell’inconscio collettivo che viene attivata in determinate situazioni”.
La psiche, nella sua totalità, non può conoscere direttamente la propria sostanza. Per questo motivo, molti eventi interiori rimangono al di sotto della soglia della coscienza, agendo in modo invisibile. Jung notò che i simboli presenti nei testi alchemici coincidevano in modo sorprendente con i simboli che emergevano dai sogni dei suoi pazienti, persone che non avevano alcuna conoscenza dell’alchimia. Questo lo portò a concludere che l’alchimia fosse una pratica utile a proiettare e dare forma visibile a questi archetipi universali.
L’alchimia come psicologia proiettata
Jung interpreta l’intera pratica alchemica in chiave simbolica. L’alchimista, credendo di lavorare sulla materia nella sua storta, in realtà stava proiettando su di essa i propri processi psichici inconsci. La ricerca della Pietra Filosofale non era altro che la ricerca del Sé, l’archetipo della totalità. In questo senso, l’alchimia assume un carattere compensatorio rispetto alla tradizione occidentale, dando voce a quegli aspetti d’ombra e a quella dimensione interiore spesso trascurati dalla religione e dalla scienza ufficiali.
Come l’antico Gnosticismo, l’alchimia vede nei fenomeni visibili l’allusione a una dimensione invisibile e più profonda. Il motto alchemico “ciò che è in basso è come ciò che è in alto” riflette questa corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo, tra materia e psiche. L’alchimista, come il suo amato Paracelso, sentiva di dover portare a termine ciò che la natura aveva lasciato incompiuto, rendendo visibile l’invisibile.
Opus alchemico e processo di individuazione a confronto
La “Grande Opera” (Opus Magnum) alchemica era suddivisa in fasi cromatiche che, per Jung, corrispondono perfettamente alle tappe del processo di individuazione. Questa tabella illustra il parallelismo tra il linguaggio alchemico e quello psicologico.
| Fase alchemica (opus) | Corrispettivo psicologico (individuazione) |
|---|---|
| Nigredo (annerimento) | È il confronto con l’Ombra, la parte oscura e rimossa della personalità. Un momento di caos, depressione e dissoluzione dell’Io cosciente. |
| Albedo (imbiancamento) | Rappresenta la purificazione. Dopo aver affrontato l’Ombra, la coscienza si confronta con gli archetipi dell’Anima (per l’uomo) o dell’Animus (per la donna). |
| Rubedo (arrossamento) | È l’integrazione finale, la sintesi degli opposti (coscienza e inconscio). Simboleggia la nascita del Sé, la personalità completa e realizzata. |
Il Sé: l’archetipo dell’unità e il fine dell’opus
Per Jung, figure come Buddha o Cristo sono simboli dell’archetipo universale che egli chiama il Sé. Questo archetipo rappresenta la totalità della psiche e l’unità dei contrari: conscio e inconscio, maschile e femminile, bene e male. Il Sé è l’obiettivo finale del percorso di individuazione, una “paradossalità assoluta” che è tesi, antitesi e sintesi allo stesso tempo. L’alchimia, con il suo metodo di “andare all’oscuro attraverso il più oscuro”, era la pratica perfetta per descrivere questo viaggio interiore.
Lo psicoanalista svizzero era convinto che “l’anima è per natura religiosa”, intendendo con ciò la sua tendenza innata a cercare un senso e a confrontarsi con i valori supremi. Chi si definisce religioso, secondo Jung, dovrebbe prendere coscienza del divino che abita nella propria anima e della contraddittorietà che è presente in ogni essere umano.
Oltre la psicologia: l’eredità nel surrealismo
L’interesse per queste tematiche, come documentato da diverse fonti accademiche tra cui l’Enciclopedia Treccani, non rimase confinato alla psicologia. Le idee di Jung sulla centralità dell’inconscio, del sogno e del simbolo affascinarono profondamente anche il mondo dell’arte. André Breton, fondatore del Surrealismo, trovò nel pensiero junghiano e nella tradizione alchemica una fonte di ispirazione per la sua ricerca di una “realtà superiore”, dove sogno e veglia potessero finalmente conciliarsi.
Prof. Giovanni Pellegrino
Articolo aggiornato il: 18/10/2025

