Il pensiero magico di Jung, caratteristiche

Jung il grande psicoanalista svizzero manifestò sempre un grande interesse per la grande tradizione magico alchemica.
In Jung tale interesse divenne sempre più netto quando più si andò convincendo che oltre all’inconscio personale teorizzato da Freud in ogni essere umano esisteva uno strato ancora più profondo innato che poteva essere definito “inconscio collettivo”.
Esso al contrario dell’inconscio personale aveva contenuti e comportamenti identici dappertutto e per tutti gli individui.
L’inconscio collettivo può anche essere definito un substrato psichico comune di natura sopra personale presente in ogni individuo.
Proprio nella prospettiva dell’inconscio collettivo Jung già cultore di Paracelso vede nell’alchimia una vera e propria anticipazione della moderna psicologia dell’inconscio.
Di conseguenza egli interpreta l’alchimia in chiave simbolica.
Lo psicoanalista svizzero convinto della storicità dell’alchimia mette chiaramente in luce il carattere compensatorio dell’alchimia rispetto agli aspetti d’ombra della tradizione religiosa filosofica e scientifica occidentale.
L’alchimia viene da lui messa in rapporto con la tradizione gnostica nonché con quella dimensione esoterica che vede nei segni e nei fenomeni visibili la continua imprescindibile allusione a una dimensione che oggi viene chiamata inconscia.
Per Jung in ogni caso tale dimensione non è mai stata completamente definibile e conoscibile.
Se è vero che vi sono molte troppe cose che oltrepassano l’orizzonte della comprensione umana e che per questo ricorriamo costantemente all’uso di termini simbolici o immagini è anche vero che tutti i fatti della cosiddetta realtà diventano eventi psichici.
Ma la natura di tali eventi psichici è inconoscibile in quanto la psiche non può conoscere la propria sostanza psichica.
Per tale ragione ogni esperienza contiene un numero infinito di fattori sconosciuti per non dire del fatto che ogni oggetto concreto è sempre sconosciuto sotto certi aspetti dal momento che non siamo in grado di conoscere la natura sostanziale della materia in sé.
Molti eventi rimangono così al disotto della soglia della coscienza cosicché il loro cuore segreto continua ad agire inosservato ripresentandosi sottoforma di sogno oppure come mito oppure pratica di cui la ragione cosciente difficilmente riesce a decifrare il senso.
Pertanto ben precisi archetipi continuano a manifestarsi nelle forme più diverse come tendenze istintive che ripetono sempre lo stesso motivo.
Tali archetipi non vanno intesi come forme statiche ma come fattori dinamici che si manifestano come forma di impulsi.
Per Jung, magia alchimia inconscio personale e sogno sono manifestazioni diverse di un medesimo complesso psichico ruotante intorno ad alcuni simboli fondamentali.
Tali simboli fondamentali non sono mai stati inventati da questa o quella figura da questa o quella popolazione ma da ognuna di tali individualità storicamente determinate vengono in qualche modo ritrovati.
Anche la magia e l’alchimia sono pratiche utili a portare a termine ciò che la natura ha lasciato incompleto.
Proprio come pensava Paracelso.
Entrambe implicano una intuizione del “lumen naturae” che agirebbe nel corpo invisibile.
Infatti l’alchimista esegue la volontà di Dio e cioè che l’invisibile venga detto visibile.
In Jung ritorna dunque la consapevolezza che nell’atteggiamento magico alchemico ma infondo in ogni forma dell’agire sia essenziale la convinzione inconscia relative alla mancanza dell’unità.
Lo psicologo svizzero afferma che l’anima è per natura religiosa se così non fosse se non si sapesse che nell’anima si trovano i valori supremi la psicologia non interesserebbe per nulla lo psicologo svizzero.
A suo parere quelli che si definiscono religiosi dovrebbero prendere coscienza del divino quello che abita “ab origine” nella loro anima.
Inoltre quelli che si definiscono religiosi dovrebbero anche prendere coscienza della contraddittorietà che è presente in tutti gli uomini nel loro intimo.
Per Jung, Budda Cristo e le diverse figure presenti nelle molte religioni che di fatto esistono nel mondo vanno considerati come simboli di quell’archetipo universale che Jung chiama il “Se”.
Lo stesso archetipo è caratterizzato dall’unità dei contrari.
Per Jung il Se è paradossalità assoluta dal momento che rappresenta sotto ogni riguardo e d’aspetto tesi e antitesi e contemporaneamente sintesi.
In definitiva possiamo dire che non bisogna stupirsi dell’interesse di Jung nei riguardi dell’alchimia.
Non dobbiamo dimenticare che per lo psicologo svizzero l’alchimia è una pratica il cui metodo consisteva nell’andare all’oscuro attraverso il sentiero del più oscuro nonché nell’andare all’ignoto attraverso il sentiero del più ignoto.
Concludiamo tale articolo mettendo in evidenza che tematiche analoghe a quelle di Jung escono comunque dall’ambito della filosofia-psicologia e finiscono per affascinare un altro grande protagonista del Novecento europeo.
Non si tratta di un filosofo o di uno psicologo ma di un’artista ovvero Andre Breton.

Prof. Giovanni Pellegrino

A proposito di Marcello Affuso

Direttore di Eroica Fenice | Docente di italiano e latino | Autore di "A un passo da te" (Linee infinite), "Tramonti di cartone" (GM Press), "Cortocircuito", "Cavallucci e cotton fioc" e "Ribut" (Guida editore)

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