L’elaborazione del trauma è uno dei temi centrali nella letteratura giapponese dai tempi antichi ai giorni nostri, affrontata con grande sensibilità da numerosi autori.
Il comportamento sociale degli abitanti del Sol Levante è sempre stato oggetto di grande fascinazione per gli studiosi di tutto il mondo; che si legga il Genji Monogatari di Murasaki Shikibu o Ongaku di Mishima Yukio, la marcata differenza tra i modi di fare nipponici e quelli occidentali è chiara e innegabile.
È la stessa con cui si trovò a fare i conti anche Doi Takeo, il celebre psicoanalista giapponese e autore di Amae no kōzō, al suo primo sbarco negli States, a metà del ’900.
La divergenza tra questi due modelli identitari ha radici profonde in un terreno complesso come quello dello scheletro sociale di una comunità; pertanto, anche possedendo un’ottima conoscenza della lingua e delle abitudini di un determinato popolo, comprendere alcuni dei meccanismi più primordiali che lo animano può risultare ostico.
Tra gli autori giapponesi più celebri sul panorama internazionale contemporaneo, uno in particolare spicca per la sua maestria nel trattare i sentimenti umani più primitivi; immergiamoci in due dei suoi lavori più intimi e nell’elaborazione del trauma secondo Murakami Haruki!
Drive My Car
La poetica dell’autore giapponese è caratterizzata dal forte trasporto emotivo, ottenuto grazie all’evocazione della sofferenza che provano i suoi personaggi.
Drive My Car ci permette di osservare, per quanto brevemente, l’incontro di due anime silenziose che, nella loro quiete reciproca, trovano un po’ di pace in una vita piena di dispiacere.
Kafuku, attore di mezz’età, ha dovuto convivere con la perdita di un figlio e di sua moglie, oltre che con i ripetuti tradimenti tenuti segreti da lei mentre era ancora in vita.
La giovane Misaki, che gli fa da autista, ferita nel profondo dall’abbandono del padre e dalla morte della madre, con la quale non aveva un grande rapporto, ha trovato riparo in un guscio di imperscrutabile taciturnità.
La recitazione può essere vista come un mezzo di crescita e coping che il protagonista abbraccia per affrontare il dolore portato dalla vita:
«Per un determinato lasso di tempo sarebbe diventato un’altra persona, per tornare poi a essere se stesso. Non esattamente quello di prima, tuttavia» .
Tony Takitani
Tony Takitani, invece, è una rappresentazione assai realistica del romanticismo disfunzionale e di individui emotivamente diseducati.
Tony è da sempre stato convinto di star bene anche da solo, ma alla morte della moglie va alla ricerca di un surrogato per avviare il suo meccanismo di coping; il padre, Shōzaburō, è così emotivamente disconnesso da non riuscire a realizzare la sofferenza generata dalla morte della moglie; la moglie di Tony, accostabile a Mizuki di Kagen no tsuki, porta dentro un vuoto talmente incolmabile che muore non appena compie un’azione contraria ai suoi standard, da cui avrebbe potuto trarre giovamento.
Questo racconto, in particolare, rivela una visione notevolmente pessimista e sfiduciata riguardo l’incapacità emotiva umana, spingendola all’estremo con la sua narrazione. Ciò lo rende un ottimo esempio alternativo di come venga trattato un trauma secondo Murakami Haruki, stavolta non in maniera ottimale.
Conclusioni
La morte delle mogli di Tony e Kafuku possono essere letti come metafora dell’incapacità di comunicare i propri sentimenti, la chiusura totale o semi-totale del proprio cuore dietro a un velo di maya che, superficialmente, appare solo come estrema riservatezza.
Nonostante ciò, questi finali aperti, tanto cari alla narrativa giapponese, spalancano la porta dell’immaginazione a infinite possibilità, tra le quali si celano anche le piccole gioie della vita e il lento processo di crescita generato da una perdita. È proprio in questi snodi di trama che il lettore può assistere all’elaborazione del trauma secondo Murakami Haruki, nella sua forma più pura e commovente.
«Un fiore, caduto,
nel riandare al suo ramo…
una farfalla!» (Arakida Moritake, 1473-1549)
Fonte immagine: Amazon