Jianzhen, conosciuto in Giappone come Ganjin, era originario del distretto di Jiangyang, della città di Yangzhou in Cina. Nel 708, all’età di 21 anni, pronunciò i voti religiosi a Chang’ an, diventando monaco. Nei successivi 40 anni Ganjin si mise in viaggio e predicò la dottrina e costruì templi e statue buddiste.
La percezione del buddhismo in quell’epoca
1200 anni fa il buddhismo cominciò a diffondersi rapidamente e a quel tempo, aveva un’organizzazione diversa da come lo conosciamo oggi. Oltre ai voti e la pratica, era necessario ottenere una certificazione sotto richiesta del governo, che voleva assolutamente mantenere l’organizzazione e riconoscere chi effettivamente sarebbe diventato monaco per seguire la via del Buddha e non per secondi fini.
Il problema fu che in Giappone non c’era nessuno che potesse rilasciare queste certificazioni e inoltre, c’era bisogno almeno di 10 “veri uomini” per fare la cerimonia di rilascio degli attestati.
Nel Buddhismo in Cina, i “veri uomini” (o “veri bodhisattva“) erano individui che incarnavano i principi del buddhismo, come l’altruismo, la compassione e la saggezza. Si distinguevano per il loro impegno nel perseguire la liberazione da sé e nel promuovere il benessere degli altri.
Il viaggio di Ganjin
Proprio per la mancanza di “veri uomini”, la corte giapponese inviò due monaci, Eiyo e Fushi, in Cina. Quando i due arrivarono sul suolo straniero, chiesero agli abitanti del posto chi fosse il “vero uomo” e tutti indicarono il monaco Ganjin.
Senza perdere tempo, i due monaci giapponesi andarono ad incontrare Jianzhen, Il quale ascoltò seriamente la loro richiesta di andare in Giappone per predicare la sua dottrina. Ganjin chiamò 21 dei suoi discepoli, 10 di loro intendeva mandarli sul suolo nipponico. I due monaci giapponesi furono entusiasti e chiesero ai 21 giovani chi si sarebbe offerto di venire con loro ma nessuno si fece avanti.
La ragione era ovvia, in quei giorni un viaggio per il Giappone era estremamente pericoloso ma Ganjin, essendo un uomo vero, si offrì lui stesso di andare. In quel momento tutti i 21 discepoli alzarono le loro mani e decisero di seguirlo.
Da qui la storia prese un’inaspettata piega. Il primo tentativo di andare in Giappone fallì, perché il gruppo fu fermato da un ufficiale e furono detenuti nel porto. Il secondo tentativo andò anche esso in rotoli perché, anche se questa volta erano riusciti a salpare, furono colpiti da una violenta tempesta che danneggiò il galeone e dovettero ritornare in Cina. Nel terzo tentativo un discepolo di Ganjin mentì ad un ufficiale del porto e il monaco giapponese Eiyo fu arrestato. Durante il quarto tentativo, uno dei discepoli, chiese a un ufficiale portuale di impedire a Ganjin di partire per il Giappone e furono trattenuti a lungo. Nel quinto tentativo, finalmente riuscirono a partire, tuttavia un tifone cambiò la direzione del galeone, portandolo a sud dell’isola di Hainan, nella parte meridionale della Cina, da cui tornò a fatica a Yangzhou. Fu un altro fallimento, che portò a gravi perdite in quanto il monaco giapponese Eiyo e Xiang Yan, discepolo di Jianzhen, morirono poco dopo di malattia e Jianzhen stesso perse la vista per le fatiche eccessive.
Passati cinque anni, Jianzhen, che allora aveva 66 anni, nonostante la cecità e i cinque fallimenti consecutivi, decise di ritentare di raggiungere il Giappone, lasciando Yangzhou 19 ottobre del 753. Si imbarcarono in navi differenti, tre delle quali sbarcarono nelle isole Ryukyuu, nell’attuale Okinawa, ma due di loro raggiunsero l’isola più a sud del Giappone.
Passarono così 10 anni dal primo tentativo di Ganjin e finalmente, il 20 dicembre del 753, arrivò in Giappone per la prima volta riuscendo così a raggiungere la città di Nara, la capitale del Giappone in quell’epoca. Fu preparata immediatamente una splendida cerimonia per l’occasione, dove il monaco cinese incominciò a rilasciare certificazioni. Senza ombra di dubbio, il buddismo in Giappone fece grandi progressi.
Nel 756, la corte giapponese lo nominò Grande Maestro, un onore senza precedenti nella storia. In seguito, Jianzhen eresse con i discepoli un tempio, l’attuale famoso Toshodaiji di cui divenne l’abate.
Nel maggio del 763 Ganjin morì all’età di 76 anni e fu seppellito sul posto.
Ganjin e il legame tra Cina e Giappone
Jianzhen, vissuto in Giappone per 10 anni, dette enormi contribuiti allo sviluppo della cultura giapponese e agli scambi culturali sino-giapponesi. Le sue traversate verso est coincisero col periodo di massima prosperità della cultura cinese Tang, e portò con sé in Giappone molti artigiani cinesi del ricamo e della giada, oltre che validi pittori, e molti preziosi oggetti artigianali, come ritratti, ricami, giade e specchi di bronzo, e una grande quantità di calligrafie.
L’arte e la cultura cinesi portate da Jianzhen, attraverso l’assorbimento da parte del Giappone, divennero una componente della locale cultura Tempei. Quanto alla scultura buddista, prima dell’arrivo di Ganjin, in Giappone esisteva soltanto la scultura in bronzo e in legno. In seguito, vide grandi cambiamenti, indirizzandosi verso lo stile realistico della scultura buddista della dinastia Tang. Infatti, la statua di Jianzhen eretta dopo la sua morte era stata costruita di lacca secca, un tipo di scultura introdotto in Giappone dai suoi discepoli e che oggi possiamo ammirare nel Toshodaiji.
Jianzhen portò anche la medicina cinese nel paese, curando personalmente l’imperatrice Kohme. Benché cieco da entrambi gli occhi, le sue diagnosi erano estremamente corrette.
In dieci anni di duro impegno Ganjin si mise in viaggio e diede vita al fiore dell’amicizia fra i popoli di Cina e Giappone, scrivendo una pagina incancellabile della storia degli scambi culturali fra le due parti.
Fonte immagine: Wikicommons
Fotografo: ArishG