Italiani brava gente: cosa vuol dire questo stereotipo sugli italiani?

italiani brava gente rodolfo graziani

Il mito degli Italiani brava gente è uno stereotipo diffuso secondo cui il popolo italiano sarebbe noto per una sua intrinseca benevolenza. C’è chi identifica le origini del motto nel colonialismo, per sottolineare presunte differenze nel trattamento delle popolazioni conquistate rispetto ad altre potenze; altri vedono delle radici nel secondo dopoguerra, per identificare una sorta di *differenza morale* tra gli italiani e altri popoli che hanno perpetrato violenze durante le lotte. L’italiano, per natura, non sarebbe in grado di compiere atti crudeli ma si dimostrerebbe buono nei confronti del nemico. In realtà, la storia documenta che gli italiani si sono macchiati di innumerevoli crimini di guerra: deportazioni in massa in Libia, uso di gas tossici in Etiopia, rappresaglie contro civili, rastrellamenti e fucilazioni di massa. Sulla base dei fatti, non possiamo che sfatare questo mito e prenderne le distanze.

Il mito La realtà storica
Un colonialismo “dal volto umano”, diverso dagli altri. Deportazione di 100.000 civili e creazione di campi di concentramento in Libia.
Il rispetto delle convenzioni di guerra. Uso sistematico di gas chimici (iprite) contro militari e civili in Etiopia.
Un trattamento umano delle popolazioni occupate. Rappresaglie, incendi di villaggi e fucilazioni di massa nei Balcani.
Estraneità alla Shoah. Ruolo attivo del regime fascista e della RSI nella persecuzione e deportazione degli ebrei.

I crimini del colonialismo italiano

L’Italia fu tra le ultime nazioni europee a intraprendere un processo di colonizzazione. Fu nel 1882 che acquisì Assab, in Eritrea, e nel 1885 occupò il porto di Massaua. Da qui nacque la locuzione, storpiata dalla popolazione locale, di bono italiano, che contribuì a creare il mito. Nello stesso periodo, parte della Somalia divenne protettorato italiano.

La conquista della Libia e le prime violenze

Con la Guerra italo-turca del 1911-12, la Tripolitania e la Cirenaica furono annesse. Durante la loro conquista, gli italiani si macchiarono di terribili crimini: i rivoltosi furono internati in campi di lavoro forzato dove morirono di stenti. Nel 1913, il deputato socialista Filippo Turati denunciò l’uso della forca contro la popolazione. Nel 1915, come rappresaglia, fu dato alle fiamme un albergo: furono trovati trentadue corpi carbonizzati, di cui solo otto erano uomini adulti.

L’era fascista: Libia ed Etiopia

Con il fascismo, l’Italia visse il suo periodo coloniale più aggressivo. Mussolini ordinò agli italiani brava gente di «pestare sodo» per la riconquista della Libia. Nel 1923 fu dichiarato lo stato d’assedio. Il generale Rodolfo Graziani, noto come il Macellaio del Fezzan, ordinò il bombardamento indiscriminato dell’oasi di Cufra, causando la morte di centinaia di civili. Su proposta del governatore Badoglio, per separare i ribelli dalla popolazione, si procedette a una deportazione di massa: circa 100.000 persone, in gran parte donne, anziani e bambini, furono trasferite in campi di concentramento. Si stima che almeno 40.000 persone morirono per fame, sete e malattie, in quello che è paragonabile a un genocidio. La rappresaglia dopo la riconquista di Cufra nel 1931 fu durissima, con esecuzioni sommarie, stupri e torture.

Il 5 maggio del 1936 Mussolini proclamò la nascita dell’Impero con la conquista dell’Etiopia. Per assicurarsi la vittoria, il Duce autorizzò l’uso massiccio di gas chimici, in violazione di ogni protocollo internazionale. Furono sganciate circa 1000 bombe all’iprite su villaggi, pascoli e fonti d’acqua. Le violenze contro le rivolte etiopi furono tremende, come la Strage di Addis Abeba, dove morirono fino a 30.000 civili, e i massacri di religiosi come quello di Debra Libanos.

I crimini durante la Seconda guerra mondiale

La pulizia etnica nei Balcani

I crimini di guerra perpetrati dagli italiani durante il secondo conflitto mondiale furono innumerevoli. Nei confronti degli slavi, la persecuzione fascista fu particolarmente accanita, con l’obiettivo di una vera e propria pulizia etnica. Le repressioni contro i partigiani jugoslavi furono cruente, con fucilazioni sul posto, rastrellamenti, incendi di villaggi e deportazioni in campi di concentramento italiani. Si decise che per ogni soldato ucciso, sarebbero stati fucilati 50 ostaggi. Testimoni oculari riportano che nel 1941 la 5ª Divisione alpina “Pusteria” si macchiò di crimini orrendi, come l’uccisione di bambini per gioco, e fucilazioni di massa di contadini, donne e anziani.

Il fronte russo e il ruolo nella Shoah

In Russia, a fianco dei nazisti, le truppe italiane del CSIR e dell’ARMIR parteciparono alle violenze. Sebbene le fonti siano frammentarie, esistono testimonianze di efferatezze contro prigionieri di guerra e civili. Un generale tedesco riportò di soldati sovietici bruciati vivi da carabinieri italiani. A tutto ciò si aggiunge il ruolo centrale che l’Italia fascista prima, e la Repubblica Sociale Italiana poi, ebbe nella persecuzione e deportazione di ebrei e altre minoranze verso i campi di sterminio nazisti, come documentato da fonti quali l’United States Holocaust Memorial Museum.

Perché il mito degli “italiani brava gente” è sopravvissuto?

Il mito, nonostante l’evidenza storica, non può essere considerato credibile. La sua persistenza si deve a diversi fattori. La caduta del regime il 25 luglio 1943 e la successiva guerra civile permisero a molti di creare una netta separazione tra “fascisti cattivi” e “italiani buoni”, assolvendo la nazione nel suo complesso. Fondamentale fu la cosiddetta Amnistia Togliatti del 1946, che garantì l’impunità a gran parte dei criminali fascisti. Inoltre, la mancata estradizione e processamento dei maggiori criminali di guerra italiani (una “mancata Norimberga italiana”) ha impedito una presa di coscienza collettiva, cristallizzando una narrazione auto-assolutoria che continua a influenzare la memoria pubblica.

Fonte immagine: Wikipedia Commons

Articolo aggiornato il: 10/09/2025

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