Italiani brava gente: introduzione
Il mito degli Italiani brava gente è uno stereotipo diffuso tra il popolo italiano che, secondo l’espressione, sarebbe noto per la sua benevolenza. C’è chi identifica le origini del motto nel colonialismo, per sottolineare le differenze nel trattamento delle popolazioni conquistate rispetto alle altre potenze; altri vedono delle radici nel secondo dopoguerra, per identificare una differenza genetica tra italiani e le altre popolazioni che hanno perpetrato violenze durante le lotte.
L’italiano, per natura, non sarebbe in grado di compiere atti crudeli ed efferati ma si dimostrerebbe buono nei confronti del nemico o del colonizzato. In realtà, gli abitanti del tricolore si sono macchiati di innumerevoli crimini di guerra: dalle deportazioni in massa nella Cirenaica, in Libia, a quelle in Europa durante la Seconda guerra mondiale nei campi di concentramento nazi-fascisti; l’uso dei gas in Etiopia, le rappresaglie (anche contro civili), il rastrellamento della popolazione, i bombardamenti indiscriminati, le fucilazioni di massa, ecc.
Sulla base di ciò, non possiamo che sfatare questo mito e prenderne le distanze.
Il colonialismo
Secondo l’espressione Italiani brava gente, questi ultimi sarebbero differenti dalle altre popolazioni che hanno sfruttato e oppresso i territori colonizzati, così come sono lontani dalla disumanità che hanno caratterizzato le politiche coloniali degli inglesi, spagnoli, francesi e così via.
L’Italia fu tra le ultime nazioni a intraprendere un processo di colonizzazione: fu soltanto nel 1882, quando la nazione acquisì Assab, in Eritrea, che potè controllare un territorio oltremare. La prima vera e propria occupazione fu quella del 1885, con la presa del porto di Massaua, distante pochi chilometri da Assab. Ne conseguì la nascita e l’affermazione della locuzione, storpiata dalla popolazione eritrea, di bono italiano, iniziando a dare vita al mito degli italiani brava gente.
Nello stesso periodo, anche parte della Somalia divenne un protettorato del Regno d’Italia e, successivamente, l’esercito italiano fallì nella presa di Adua, in Etiopia.
Con la vittoria della Guerra italo-turca del 1911-12, la Tripolitania e la Cirenaica, situate in Libia, furono annesse all’Italia. Durante la loro conquista, gli italiani si macchiarono di terribili crimini di guerra: approssimativamente negli stessi anni, i rivoltosi libici furono arrestati ed internati nei campi di lavoro forzato dove, nella maggior parte , trovarono la morte a causa delle pessime condizioni igieniche e per via della fame.
Oltre questo, nel 1913, il deputato socialista Filippo Turati, denunciò l’uso della forca e della condanna a morte contro la popolazione libica. Un altro evento rilevante è quello del 1915, quando fu ordinato un atto di rappresaglia contro i libici, che consisteva nel dare alle fiamme un albergo, dopo averlo rapinato e devastato. Nello stesso, furono trovati trentadue corpi di libici carbonizzati di cui solo 8 erano uomini adulti.
Il 28 ottobre 1922, Benito Mussolini e le camicie nere marciarono su Roma, pressando il re Vittorio Emanuele III a firmare i documenti per la creazione di un nuovo governo. L’Italia visse il suo periodo coloniale d’oro con il Fascismo al potere, tramite due eventi: la Riconquista della Libia e la presa d’Etiopia, con la conseguente nascita dell’Impero. In Libia, durante la Grande Guerra, gli italiani allentarono un po’ la presa sulla Cirenaica e sulla Tripolitania: l’attività ribelle dei Senussi era sempre viva e, nel 1915, il dominio italiano rimase precario e limitato ad un’esigua fascia costiera.
Con l’avvento del Fascismo, il Duce ordinò agli italiani brava gente di «pestare sodo», per giungere, più rapidamente possibile, alla riconquista dell’intero territorio che era stato abbandonato.
Nel 1923 fu dichiarato lo stato d’assedio: negli anni a venire, gli italiani si macchiarono di diverse colpe, rimaste impunite. Una di questi riguarda il bombardamento indiscriminato di Cufra, un’oasi della Cirenaica, per volontà del generale Rodolfo Graziani, militare e vice-governatore della Libia. Egli fu uno dei maggiori criminali di guerra italiani, denominato, per la sua spietatezza e crudeltà, il Macellaio del Fezzan; ordinò i bombardamenti, in maniera indiscriminata, sulla popolazione civile e la “caccia” al ribelle: secondo il suo rapporto, furono almeno 100 i ribelli uccisi nell’operazione e altrettanti civili.
Secondo Badoglio, per «creare un distacco territoriale largo e ben preciso fra formazioni ribelli e popolazione sottomessa», c’era la necessità di porre un freno ai rivoltosi Senussi: furono giustiziati 12.000 cirenaici e tutta la popolazione fu deportata in tredici enormi campi di concentramento. Mussolini accettò e, nei mesi seguenti, Graziani procedette con questo spostamento in massa: circa 100.000 persone furono costretti ad abbandonare la nazione e, da qui, ne scaturì una strage.
La popolazione trasferita nei campi, in buona parte donne, anziani e bambini, perirono a causa della fame, della sete e delle malattie, date le terribili condizioni di vita in cui essi versavano. Secondo i rapporti dei diversi storici, almeno 40.000 dei 100.000 libici trovarono la morte nei campi. La popolazione della Cirenaica contava, nel 1911, un numero di 198.300 abitanti, che scese a poco più di 140.000, nel 1931: numeri paragonabili ad un vero genocidio.
Nel 1931, dopo una nuova insurrezione della popolazione locale, Cufra fu rioccupata dai colonizzatori e la rappresaglia italiana fu durissima: tre giorni di continua violenza che furono visibili nella morte di 200 libici tra cui capi Senussi giustiziati, 35 indigeni evirati e lasciati morire, 90 tra esecuzioni con fucili, baionette e accette e 50 stupri.
Il 5 maggio del 1936 Mussolini proclamò, dal balcone di Palazzo Venezia, la frase: l’Etiopia è italiana!.
La tanto ambita conquista dell’impero fu, però, segnata da innumerevoli eventi che non rispettavano i protocolli della Società delle Nazioni: per non ripetere la disastrosa disfatta di Adua del 1896, il Duce voleva essere sicuro della vittoria, ragion per cui incentivò l’uso dei gas chimici contro la popolazione etiope. Furono colpiti, infatti, villaggi abitati da civili, pascoli, mandrie e territori rurali: questi crimini furono di una spietatezza efferata e non tralasciarono nessuno.
Mussolini fu il promotore di tutto ciò, e invitò i propri generali all’impiego di gas di qualunque specie e su qualunque scala. Furono utilizzate, nel corso di tutta la guerra di Etiopia, all’incirca 1000 bombe all’iprite, anche se, i generali dell’esercito, Mussolini e Badoglio, cercarono di mantenere la massima segretezza sulla questione dei gas letali.
In seguito alla condotta disumana perseguita dagli italiani brava gente, le rivolte etiopi non si fermarono, fino a dar vita ad una vera e propria guerra civile. Le contro risposte degli oppressori furono tremende.
Tra i massacri più cruenti ricordiamo: la Strage di Addis Abeba, repressione voluta dal regime in seguito all’attentato da parte di etiopi a Rodolfo Graziani, in cui si contano dai 2000 ai 30.000 morti, principalmente civili; il massacro dei monaci del convento di Debra Libanos, dopo che l’intera comunità dei membri del convento furono accusati di correità, quando, in realtà, Graziani voleva soltanto piegare la resistenza della chiesa copta etiopica, uccidendo almeno 500 diaconi; il Massacro di Gaia Zeret, del 1939, che vide l’uccisione di alcuni ribelli e civili all’interno di una grotta, ritenuta dagli etiopi un luogo sicuro, individuata dagli italiani ed attaccata con il gas chimico.
Italiani brava gente e la Seconda guerra mondiale
I crimini di guerra perpetrati dagli italiani durante il secondo conflitto mondiale furono innumerevoli. Nei confronti sia dei montenegrini che degli slavi, la persecuzione fascista fu particolarmente accanita, dato il tentativo di pulizia etnica: a seguito delle numerose insurrezioni iniziate dai partigiani jugoslavi, le repressioni furono molto cruente tramite fucilazioni sul posto, rastrellamenti, lavori forzati e condanne a morte.
Si decise che per ogni soldato ucciso, o ufficiale ferito, la rappresaglia avrebbe compreso una proporzione di 50 ostaggi fucilati. Il generale Tito scriverà nelle sue memorie: Le brutali rappresaglie degli italiani (l’incendio di 23 case e l’uccisione di circa 120 abitanti di Vlaka, Jabuka, Babina e Mihailovici e altri villaggi sulla sponda del Lim, nonché le successive, commesse a Drenavo) suscitarono in noi e nei nostri combattenti un cupo furore.
I testimoni di un evento in particolare, avvenuto nel 1941, raccontano come la 5ª Divisione alpina “Pusteria” abbia compiuto dei crimini orrendi, dall’uccisione di bambini con un tiro al piccione, incendi di interi villaggi abitati e fucilazioni di massa di contadini, donne e anziani. Peraltro, i rastrellamenti che venivano compiuti avevano anche il fine di mettere in atto la “famosa” pulizia etnica, tramite la deportazione nei campi di lavoro italiani, dove, come detto, a causa della fame, del freddo e delle pessime condizioni igieniche, nella maggior parte dei casi si andava incontro alla morte.
Per la folle Operazione Barbarossa di Hitler, Mussolini formò il CSIR e l’ARMIR, i corpi di spedizione italiano in Russia, a fianco della Germania nazista: inviò 230.000 soldati italiani a combattere nelle steppe sovietiche.
In questo caso, sono molto poche le informazioni che abbiamo a riguardo; possiamo immaginare che siano stati compiuti crimini di guerra, data la subordinazione degli italiani agli spietati nazisti i quali, per ordine di Hitler, avevano l’autorizzazione di uccidere, massacrare e bruciare.
Sono pochi gli eventi accertati di cui abbiamo testimonianza riguardo i 230.000 italiani in Russia. Una di queste è una dichiarazione rilasciata da un generale tedesco che ha combattuto con l’ARMIR contro i sovietici: l’anticomunismo degli italiani, mescolato al razzismo e all’antisemitismo, finì per produrre una miscela aggressiva. […] Effettivamente si sa di efferatezze commesse da soldati italiani non solo sulla popolazione civile, ma soprattutto nei confronti dei prigionieri di guerra. Nel dicembre del 1941 il membro di un’unità di riparazioni fu testimone di un terribile delitto: alcuni soldati sovietici furono bagnati con la benzina e poi bruciati da un gruppo di carabinieri italiani.
Tutto ciò senza dimenticare, ovviamente, il ruolo centrale che l’Italia fascista prima, e la Repubblica Sociale Italiana poi, ha avuto nella persecuzione di ebrei, portatori di handicap, rom, zingari e altri considerati inferiori.
Conclusioni e riflessioni sul mito
Il mito degli Italiani brava gente, non può, data la quantità e la gravità degli eventi di cui abbiamo appena discusso, essere considerato credibile o plausibile. L’Amnistia Togliatti, la mancata Norimberga italiana, il fatto che i vari criminali di guerra sopra citati non siano stati estradati, il crollo del regime il 25 luglio del 1943 e la generale epurazione fascista del secondo dopoguerra, hanno fatto sì che questo mito si sia rafforzato: gli italiani si reputano lontani e distanti da quelle atrocità compiute dai fascisti e dai nazisti; dei maggiori crimini di guerra, infatti, i sottoscritti sono rimasti impuniti.
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