Jean Luc Godard e la Nouvelle vague francese

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Tra i più importanti cineasti della seconda metà del XX secolo, Godard è stato uno dei protagonisti della Nouvelle Vague, un punto di riferimento per i giovani cineasti degli anni Sessanta e un marcatore dei confini tra epoche e culture nella storia del cinema. Ha portato a termine il suo ruolo da regista non solo grazie all’originalità e alla forza del suo lavoro, ma anche grazie alla sua ricerca, che gli ha permesso di rimanere all’avanguardia per tutta la sua lunga carriera, aggiornandosi costantemente con la società e la tecnologia audiovisiva, dovendo allo stesso tempo anche rimanere fedele a un linguaggio e a una concezione cinematografica forte e senza compromessi.

L’impatto di Godard con il cinema

Regista, sceneggiatore e attore, Jean Luc Godard nasce a Parigi il 3 dicembre 1930 a Parigi e muore il 13 settembre 2022 all’età di 91 anni. Frequenta spesso la ‘’Cinémathèque’’, considerata la ‘’palestra’’ di talenti della sua generazione per un “cinema maledetto” che si allontana da ogni dogma. Dopo aver studiato alla Sorbona, stringe amicizia all’università con François Truffaut, Eric Romer e Jacques Rivette e con Rivette fonda la Gazette du Cinema, dove pubblica articoli con lo pseudonimo di “Hans Lucas”. Egli scrisse anche recensioni cinematografiche per i Cahiers du Cinéma (rivista cinematografica costituita da una serie di giovani, prima critici cinematografici e poi registi che prolungano la ‘’politique des auteurs’’, la quale celebra ed elogia il cinema autoriale del neorealismo italiano, degli anni 20, del cinema americano fino alla poetica di Sergej Michajlovič Ėjzenštejn).  Dopo aver sperimentato diversi film con Rivette, realizza ‘’Opération Beton’’ (1954), un documentario sulla costruzione di una diga in Svizzera. A questo documentario, seguirono diversi cortometraggi, tra cui ‘’Tous le garçon s’appellent Patrick’’ (1957) e ‘’Histoire d’eau’’ (1958). Nel 1959, il suo primo film ‘’A bout de souffle’’ vinse l’Orso d’argento al Festival di Berlino. Il film divenne un simbolo della Nouvelle Vague.

Che cos’è la Nouvelle Vague?

Intesa come ‘’una nuova onda’’, la Nouvelle Vague è un fenomeno che si afferma in Francia alla fine degli anni ’50 in connessione con il Festival di Cannes tenutosi nel 1959, in particolare con il film di Truffaut ‘’I 400 colpi’’. I due grandi cineasti della Nouvelle Vague sono Francois Truffaut e Jean Luc Godard, molto amici tra di loro ma sarà Godard quello che ha sperimentato di più dal punto di vista del linguaggio e della forma questo nuovo fenomeno. Questa etichetta, era stato uno slogan giornalistico con anche un’inchiesta sociologica nel 1958 sui nuovi costumi della società francese, ovvero una società che vuole essere libera dagli schemi e vagare nella libertà. Il termine verrà poi traslato in ambito cinematografico inizialmente in modo dispregiativo ma ben presto gli autori se ne impadroniranno e lo trasformano in un sinonimo positivo. I registi della Nouvelle Vague disprezzano il cosiddetto ‘’cinema de papà’’, ovvero quella generazione di autori francesi più vecchi che vengono percepiti come obsoleti. Tali artisti vogliono allontanarsi dai canoni storico sociali sanciti in particolare dall’episodio della guerra in Algeria.

Caratteristiche della “nuova onda”

A differenza di molti altri movimenti cinematografici, i registi erano davvero persone che si conoscevano e collaboravano: un ‘gruppo di amici’ che girava intorno alla rivista Cahiers du cinéma:

  • Realizzano film personali, quasi sempre scritti dal regista stesso, e legati alla sua esperienza personale e generazionale: spirito del tempo, atmosfera giovanile, vita urbana alternativa;
  • Autoproduzione: piccoli budget e troupe leggere;
  • Suono in presa diretta, illuminazione il più possibile naturale​;
  • Improvvisazione, attori per lo più esordienti (alcuni diventeranno celeberrimi).

Parlare di Nouvelle Vague significa parlare di un cinema moderno, perché?

Il cinema è moderno di per sé, per le caratteristiche del suo dispositivo: ovvero in quanto procedimento tecnologico, utilizzato per la produzione di merci indirizzate ad un pubblico di massa. Tutte caratteristiche che lo calano completamente nella modernità intesa in senso storico (rivoluzione copernicana, industrializzazione, espansione del capitalismo, crescita demografica e urbanizzazione, movimenti sociali di massa, comunicazione di massa)​ ​ D’altronde la modernità non è soltanto un fatto storico. Ma è anche un modo di pensare e di approcciarsi alla conoscenza, al sapere e all’arte: la modernità è l’età dell’evoluzione, del cambiamento, della rivoluzione ma anche del dubbio, della crisi.​ ​ L’arte (cinema incluso) per essere autenticamente moderna deve trovare delle forme espressive proprie per parlare delle idee che caratterizzano la modernità: appunto le idee di metamorfosi, di crisi, di rivoluzione, di frattura dell’individuo.​ Secondo il filosofo Gilles Deleuze, il cinema del dopoguerra (già con il neorealismo, ma in modo più netto con la Nouvelle Vague), è la sede di un passaggio fondamentale.​ Mentre il cinema classico viene definito da Deleuze come il cinema dell’immagine-movimento, incentrato su personaggi che compiono azioni precise e dominano lo spazio circostante, viceversa il cinema moderno è per Deleuze il cinema dell’immagine-tempo.​ Il ritmo si allenta, i personaggi vagano senza scopo e senza meta (la forma della passeggiata assume una preminenza fondamentale) e il cinema diventa un dispositivo che riflette soprattutto sulle stratificazioni dell’esperienza soggettiva e collettiva.

Il film per eccellenza di Godard della Nouvelle Vague: À bout de souffle

Uno dei suoi primi capolavori fu ‘’Fino all’ultimo respiro’’ (1960), interpretato da Jean-Paul Belmondo. La pellicola è una sorta di manifesto del nuovo cinema francese, che mirava a raccontare la realtà quotidiana in tempo reale. Basato su una sceneggiatura di François Truffaut, la trama è essenzialmente una storia poco velata tra il delinquente Michel e la giovane Patricia. Ciò che è innovativo è l’uso di telecamere a mano e di un montaggio atipico, che sembrano immergere lo spettatore nella storia. Tutto questo per contrastare i cosiddetti “film di papà”: girato in quattro settimane scarse e con un budget ridotto, il film non ebbe successo a Cannes e poi andò a Berlino, dove vinse l’Orso d’Oro.

 

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Fonte immagine in evidenza: Wikipedia, tratta dal film ”À bout de souffle”.

A proposito di Martina Barone

Studentessa di Lingue e Culture Comparate presso L'Orientale di Napoli. Studio inglese e giapponese e sono appassionata di cultura giapponese, letteratura, arte e cinematografia.

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