Dal cinema muto al sonoro: la svolta decisiva

Dal cinema muto al sonoro: la svolta decisiva

Al giorno d’oggi, si da per scontato andare al cinema e pagare un biglietto per godersi un film, trasmesso a colori e composto da musiche e scene parlate, che siano sotto forma di monologhi o dialoghi. Ma si faccia un tuffo nel passato e si provi ad immergersi nell’ottica di un’epoca in cui tutto questo non era per niente scontato: i film erano in bianco e nero e gli attori dovevano essere in grado di recitare solo con il corpo e con le espressioni facciali. Il risultato è un tipo di cinema diverso da quello che conosce l’attuale generazione. Nel passaggio dal cinema muto al sonoro – correva l’anno 1927 – i film sono diventati molto più complessi e articolati, sia nel processo delle riprese e del montaggio, che in ogni suo altro aspetto. Eccone alcuni tra i più importanti.

Il cinema muto

Quando i fratelli Lumière hanno inventato il cinématographe – una macchina in grado di occuparsi da sola di ripresa, stampa dei positivi e proiezione – l’elemento che è risultato spettacolare agli occhi del pubblico è stato il movimento: per gli spettatori vedere la vita di tutti i giorni proiettata tale e quale su un simil-schermo, con la capacità di annullare quasi del tutto i limiti geografici e temporanei, è stata una scoperta tanto meravigliosa quanto sconvolgente. Con Méliès, poi, il cinema è stato associato ad una concezione prettamente artistica, creando i film sotto forma spettacolare con l’utilizzo anche degli effetti. Ad ogni modo, erano film (intesi come prodotti audiovisivi realizzati su pellicola) inizialmente di breve durata e che si soffermavano principalmente sulle possibilità di proiezione e movimento, appunto, degli oggetti e/o delle persone. Tra il 1908 ed il 1914 circa, invece, è subentrato l’elemento narrativo, per cui ci si è interrogati sui modi di legare tra loro le scene seguendo la continuità del racconto. Ma non cambia, comunque, che le riprese erano ancora caratterizzate da una certa fissità ed il rapporto tra il campo ed il controcampo era fondamentale per fare comprendere allo spettatore chi stesse “parlando” in una determinata scena. Di conseguenza, anche il modo di recitare era completamente diverso rispetto a come si è sviluppato dopo: gli attori dovevano rientrare nei movimenti limitati della macchina da presa, assumendo dunque delle pose per lo più frontali, e non essendo aiutati dalle parole, per fare arrivare al pubblico quanto volevano comunicare dovevano ricorrere ad una recitazione molto espansiva, fatta di gesti pronunciati e di una mimica facciale marcata.

Il sonoro

Nel 1927 è avvenuto un vero e proprio passaggio dal cinema muto al sonoro, che ha rivoluzionato in maniera decisiva il cinema, dai suoi aspetti tecnici a quelli anche culturali che lo contestualizzavano e caratterizzavano. È chiaro che ad entrare in azione è stata un vero e proprio sviluppo tecnologico e tecnico: la macchina da presa si fa più maneggevole e capace di essere adoperata per diverse tipologie di riprese, le quali dovranno poi essere collegate, andando a rendere ancor più complesso il lavoro di postproduzione e montaggio. Sono nate, così, nuove figure professionali, che hanno ampliato il funzionamento di tutta la macchina cinematografica; i film sono diventati prodotti artistici, nei quali ad essere gradito al pubblico era anche l’estro artistico del regista, che talvolta adottava soluzioni tecniche ogni volta nuove ed originali; gli attori non dovevano avere solo un aspetto fotogenico ma in questo passaggio dal cinema muto al sonoro dovevano essere anche fonogenici: lo studio da seguire sui rispettivi personaggi non si caratterizzava più per la sua eccessività nei gesti, ma adesso c’era la necessità di concentrarsi anche sul funzionamento della voce e sulla scansione delle parole, il tutto affinché risultasse una recitazione più o meno spontanea e familiare al pubblico; per non parlare, infine, dell’introduzione dei elementi come la colonna sonora, oggi imprescindibile, non più suonata da un’orchestra dal vivo ma creata appositamente per il film realizzato.

Per concludere, il cinema nel suo passaggio dal muto al sonoro assume un funzionamento di maggiore e più ampio respiro; non sorprende più soltanto per la creazione di un dispositivo in grado di proiettare e riprodurre la quotidianità, ma diventa un’arte vera e propria con tutto un suo processo creativo specifico ed identitario per i vari Paesi che li compongono, annoverando il cinema tra le arti fondamentali per la comunicazione, come veicolo di sviluppo e di riconoscimento

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Fonte immagine: freepik

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A proposito di Francesca Hasson

Francesca Hasson è giornalista pubblicista, iscritta all’Albo dal 2023. Appassionata di cultura in tutte le sue declinazioni, unisce alla formazione umanistica una visione critica e sensibile della realtà artistica contemporanea. Dopo avere intrapreso gli studi in Letteratura Classica, avvia un percorso accademico presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II e consegue innanzitutto il titolo di laurea triennale in Lettere Moderne, con una tesi compilativa sull’Antigone in Letterature Comparate. Scelta simbolica di una disciplina con cui manifesta un’attenzione peculiare per l’arte, in particolare per il teatro, indagato nelle sue molteplici forme espressive. Prosegue gli studi con la laurea magistrale in Discipline della Musica e dello Spettacolo, discutendo una tesi di ricerca in Storia del Teatro dedicata a Salvatore De Muto, attore tra le ultime defunte testimonianze fondamentali della maschera di Pulcinella nel panorama teatrale partenopeo del Novecento. Durante questi anni di scrittura e di università, riscopre una passione viva per la ricerca e la critica, strumenti che considera non di giudizio definitivo ma di dialogo aperto. Collabora con il giornale online Eroica Fenice e con Quarta Parete, entrambi realtà che le servono da palestra e conoscenza. Inoltre, partecipa alla rivista Drammaturgia per l’Archivio Multimediale AMAtI dell’Università degli studi di Firenze, un progetto per il quale inserisce voci di testimonianze su attori storici e pubblica la propria tesi magistrale di ricerca. Carta e penna in mano, crede fortemente nel valore di questo tramite di smuovere confronti capaci di generare dubbi, stimolare riflessioni e innescare processi di consapevolezza. Un tipo di approccio che alimenta la sua scrittura e il suo sguardo sul mondo e che la orienta in una dimensione catartica di riconoscimento, di identità e di comprensione.

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