La caduta di Ravenna in mano ai longobardi fu un evento di straordinaria importanza per l’intera Italia.
Papa Stefano II, diventato pontefice nel 752, dovette prendere atto di un dato di fatto incontrovertibile: l’Impero d’Oriente non era più in grado di difendere Roma e occorreva fare appello a nuove forze.
Pertanto, il pontefice si dedicò a rinsaldare i rapporti con la monarchia franca, già avviati all’epoca dell’invasione longobarda.
I franchi erano cattolici, e la Chiesa era presente in modo capillare sul territorio del loro regno. In particolare, la consuetudine di suddividere i territori tra tutti i figli del re morto aveva portato a uno smembramento del territorio in piccoli stati, spesso divisi da violenti conflitti.
Alla metà del VII secolo, i territori dei franchi erano così divisi in tre regioni principali: Austrafia, Neustria e Burgundia. In queste regioni, il potere effettivo era esercitato dai cosiddetti maggiordomi, cioè dagli amministratori delle proprietà reali. I re merovingi continuavano a regnare, ma il loro potere era poco più che formale.
La situazione iniziò a modificarsi negli ultimi anni del VI secolo, quando Pipino di Heristal, già maggiordomo di Austrafia, riuscì a portare sotto il proprio controllo anche i rimanenti territori franchi. A questo punto, egli era un re di fatto, ma non di diritto, dal momento che il titolo continuava ad appartenere al legittimo discendente della dinastia merovingia.
Il prestigio della famiglia aumentò ulteriormente con il figlio e successore di Pipino, Carlo Martello. Il nome di Carlo Martello è legato soprattutto alla battaglia di Poitiers, in cui il condottiero franco riuscì a bloccare, nel 732, un tentativo di sconfinamento degli arabi, la nuova grande potenza mediterranea.
Gli arabi praticavano da tempo una politica fortemente espansionistica, cosicché nei decenni precedenti avevano occupato gran parte della penisola iberica. Nonostante questa e altre campagne militari che gli procurarono gloria e ricchezza, Carlo Martello, non diversamente dal padre Pipino, restava pur sempre un maestro di palazzo.
Comunque, Carlo Martello, dopo la sua morte avvenuta nel 741, riuscì a lasciare il potere nelle mani del figlio Pipino III, meglio conosciuto come Pipino il Breve. Ma, nonostante tutto ciò, il trono dei franchi era ancora occupato da un esponente della dinastia merovingia. Tuttavia, questa situazione non doveva durare ancora a lungo.
Infatti, nel 751, Pipino il Breve decise di porre fine nel modo più drastico a questa situazione di ambiguità, destituendo l’ultimo sovrano della dinastia merovingia e assumendo il titolo di re dei franchi. Non è chiaro come Pipino sia riuscito a compiere con successo questa operazione di conquista del potere. Appare evidente che si trattò di una specie di colpo di stato, senza dubbio formalmente illegittimo.
In ogni caso, è molto probabile che Pipino il Breve fosse sostenuto dai potenti vescovi franchi, sia pure senza un intervento aperto e diretto del papa di allora, Zaccaria. Ma, al di là di ogni dubbio, un dato di fatto era certo: a partire dal 751, la dinastia regnante sul regno dei franchi fu quella dei Pipini. A sua volta, l’ultimo sovrano merovingio, esponente di una dinastia che aveva governato il paese per oltre due secoli e mezzo, finì i suoi giorni in un convento.
Nelle vicende dei franchi decise di inserirsi il nuovo pontefice, Stefano II, che nel 754 compì un gesto clamoroso: primo papa della storia della Chiesa, si recò in viaggio da Roma a Parigi e qui, nel corso di una solenne cerimonia religiosa, consacrò personalmente Pipino il Breve re dei franchi. In cambio di questo riconoscimento, Pipino il Breve si impegnò a scendere in Italia contro i longobardi. Pipino mantenne la parola data.
Egli, nelle successive spedizioni, liberò Ravenna e il suo entroterra. Inoltre, il re franco non restituì i territori conquistati all’Impero bizantino, ma li donò al papa, che vide così notevolmente incrementati i suoi possedimenti nell’Italia centrale.
Grazie alle donazioni di Liutprando e Pipino, la Chiesa controllava ormai una striscia di terra che si estendeva dal Lazio fino al litorale romagnolo: nasceva così, per aggiunte successive, il cosiddetto Patrimonio di San Pietro, ossia il primo nucleo del futuro Stato della Chiesa, un’entità politica che sarebbe sopravvissuta fino al 1870.
Per la Chiesa di Roma, il bilancio era positivo: l’intervento dei franchi era riuscito ad arginare l’espansionismo dei longobardi e, soprattutto, il papa aveva definitivamente acquistato un nuovo e potente alleato. In tal modo, nasceva il rapporto privilegiato tra Roma e Parigi. Del resto, anche i sovrani franchi avevano tutto da guadagnare dall’alleanza con la Chiesa, dal momento che, grazie alla consacrazione papale, il loro potere riceveva il riconoscimento della più importante autorità religiosa europea.
Ma da dove traeva il papa il diritto di incoronare il re? E con quale autorità il vescovo di Roma governava città, castelli e campagne nel Lazio, nelle Marche e in Romagna, tutti territori ancora appartenenti, in linea di principio, all’Impero bizantino?
Più il ruolo e l’importanza del pontefice in Europa occidentale crescevano, più diventava urgente elaborare risposte credibili a tali domande. Fu probabilmente in questo contesto che venne creato, all’interno della cancelleria papale, uno dei falsi più clamorosi e, insieme, più efficaci mai prodotti nella storia: la cosiddetta Donazione di Costantino.
Questo documento apocrifo, attribuito all’imperatore Costantino, dichiarava che egli, sul punto di trasferirsi a Costantinopoli, affidava al vescovo di Roma e ai suoi successori l’intera parte occidentale dei domini romani e, soprattutto, riconosceva il papa come suprema autorità politica, oltre che religiosa, su tutti quei territori.
Il falso fu predisposto per dare un fondamento giuridico alle iniziative del papato alla metà dell’VIII secolo. Non per nulla, nel documento si proclamava anche la superiorità del papa su tutte le altre autorità religiose, incluso il patriarca di Costantinopoli.
Appare evidente che una dichiarazione di tale genere non avrebbe avuto senso all’epoca di Costantino. Tale dichiarazione, evidentemente, fu concepita espressamente per respingere qualsiasi pretesa dell’imperatore d’Oriente di condizionare e influenzare le azioni della Chiesa di Roma.
Per la Chiesa, la Donazione di Costantino si rivelò preziosa anche nei secoli successivi, dal momento che i papi del Medioevo poterono rivendicare il primato del potere “spirituale” (quello appunto esercitato dalla Chiesa) sul potere temporale, esercitato da re e imperatori.
Per tutte queste ragioni, la falsa Donazione di Costantino, creata a metà dell’VIII secolo, fu in grado di condizionare pesantemente un’intera epoca della storia europea. Infatti, i papi del Medioevo poterono giustificare proprio con la falsa Donazione di Costantino la propria ingerenza nelle vicende politiche.
Dobbiamo mettere in evidenza che ci vollero sette secoli per smascherare la clamorosa falsificazione. Infatti, come tutti sanno, solo nel 1440 il famoso umanista italiano Lorenzo Valla riuscì a dimostrare che tale documento era falso.
Prof. Giovanni Pellegrino
Bibliografia
Longobardi, Franchi e Chiesa romana Tamassia Nino e altri , Edizione Reprint 2016
Italia longobarda, il regno, i Franchi, il papato , Gasparri Stefano, Editore Laterza 2014
Le origini dello stato della chiesa, Crivellucci Amedeo , Editore Utet 01.01.1987
Lo stato della chiesa. Gli antichi stati italiani: Tabacchi Stefano, Editore il Mulino2023
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