La controcultura degli anni ’60: una rivoluzione sociale rimasta incompiuta

La controcultura degli anni 60 e l'eco di una rivoluzione sociale rimasta incompiuta

Il contesto sociale che abbraccia la controcultura degli anni ’60 è talmente vasto da non trovare – probabilmente – spazio nelle pagine di un unico articolo. Coinvolge la cultura di massa, il contesto musicale e l’urlo di una generazione che voleva distaccarsi ad ogni costo dall’impronta di quella precedente, cercando rifugio nella fuga, nella psichedelia e nel misticismo.

Le origini della controcultura degli anni ’60

Nel lontano 1964, anno che darà uno scossone fondamentale alle dinamiche culturali del secondo dopoguerra, Timothy Leary e il suo circolo di compagni – tra cui gli psicologi Ralph Metzner e Richard Alpert – introdussero al mondo L’esperienza psichedelica, un libro che venne ben presto associato ad uno slogan che incitava all’utilizzo di droghe: il celebre “turn on, tune in, drop out“, che tradotto voleva dire “apri la mente”, “entra in sintonia con l’universo” e “abbandonati”. Questa incitazione ardita, assieme alle ricerche fondate sull’utilizzo di droghe che il gruppo compì nel contesto universitario di Harvard, non solo portarono all’espulsione di Leary e dei suoi accoliti dall’università, ma li fece anche oggetto di una stretta sorveglianza da parte delle autorità, accusati di promuovere illecitamente l’utilizzo di droghe pesanti. L’allora presidente degli Stati Uniti d’America Richard Nixon, infatti, proprio sulla base delle idee che Leary cercherà continuamente di veicolare, lo definirà come “l’uomo più pericoloso d’America”. Fu proprio il 1964, dunque, l’anno che aprì le porte alla controcultura degli anni ’60. A questo punto, la cultura di massa attraversò una fase di profonda trasformazione con conseguenze diverse tra Stati Uniti d’America e Inghilterra. L’evasione fisica e psicologica era la chiave principale, l’obiettivo da raggiungere, la meta finale di migliaia di giovani che non reggevano più il peso di una cultura dominante e di una società capitalistica e diseguale che voleva assoggettarli e confinarli in delle mura che non li rappresentavano. La controcultura degli anni ’60 sarà dunque il mezzo che li condurrà all’esperienza psichedelica di cui parlavano Leary e i suoi compagni, prendendo in prestito una serie di idee contenute nel Libro tibetano dei morti.

Un’esperienza psichedelica è un viaggio verso nuovi reami di coscienza. La dimensione e il contenuto dell’esperienza non hanno limiti e i suoi connotati caratteristici sono la trascendenza dei concetti verbali, delle dimensioni spazio-temporali e dell’ego o identità. Tali esperienze di coscienza espansa possono verificarsi in una varietà di modi: deprivazione sensoriale, esercizi yoga, meditazione disciplinata, estasi estetica o religiosa, oppure spontaneamente. Più recentemente sono diventate accessibili a tutti tramite l’ingestione di droghe psichedeliche quali psilocibina, mescalina, DMT ecc. Chiaramente, non è la droga a produrre l’esperienza trascendentale. Essa funge solamente come chiave chimica: apre la mente, libera il sistema nervoso dagli schemi e dalle sue strutture ordinarie.

E se la fuga era la chiave, allora bisognava senza dubbio fuggire. Ma dove?

Gli hippy e la ricerca

Oltre le strade sfavillanti c’era il buio, e oltre il buio il West. Dovevo andare. Jack Kerouac

È in realtà già a partire dal secondo dopoguerra che comincerà a prendere forma quel grido di una generazione caratterizzato dal rifiuto delle norme imposte dall’alto e del materialismo, dalla sperimentazione acuta di droghe e una durissima rappresentazione della condizione umana. Parliamo della Beat Generation, movimento giovanile il cui nome trae origine da una conversazione tra gli scrittori Jack Kerouac e John Holmes. Circa un decennio più tardi, nel 1967, gli Animals e la loro San Franciscan Nights andranno ad esaltare un contesto fatto di hippy, droghe e critiche alle false rappresentazioni di quello che veniva definito come  l’American dream. Diedero voce, come tante altre band del periodo, alla controcultura degli anni ’60 e a ciò che gli hippy volevano veicolare attraverso il loro viaggio. La canzone inizia infatti con un’introduzione parlata che invita tutti gli ascoltatori europei a volare a San Francisco per poter capire a pieno la canzone. Intervistato nel 1967 sulla perdita di popolarità degli Animals in Inghilterra, il frontman Eric Burdon disse: “La Gran Bretagna non è consapevole quanto gli americani di ciò che stiamo cercando di comunicare. Il mondo intero ha ancora bisogno di un calcio nelle parti basse, mentre gli americani sono un passo avanti.” 

Nel frattempo, l’America non era di certo nuova ad ogni tipo di ribellione generazionale: basti pensare a ciò che nel corso degli anni hanno incarnato il pop, il rock e i vari movimenti sottoculturali che hanno trovato spazio all’interno del contesto culturale giovanile americano, ma gli hippy erano qualcosa di diverso. Il loro rifiuto era talmente articolato e consapevole da spodestare dal trono ogni tipo di urlo generazionale udito fino a quel momento, anche e soprattutto grazie alla dimensione esplicitamente politica che la controcultura degli anni ’60 inevitabilmente andava ad incarnare. Avremo, infatti, proprio a partire da questi anni, le lotte per i diritti civili, quelle universitarie a favore delle libertà intellettuali e i movimenti contro la guerra del Vietnam, assieme a tutti quelli avuti in ambito accademico e industriale per contrastare l’oppressione di una società diseguale, ingiusta e discriminante. Gli hippy volevano annientare l’American way of life, ed era un’utopia talmente grande da destare la preoccupazione di tutti i rappresentanti della cultura dominante. Furono proprio queste motivazioni, dunque, a spingere gli hippy e questa controcultura degli anni ’60 verso il West, che rappresentava per loro un’America perduta e da recuperare, mentre l’LSD rappresentava il mezzo attraverso il quale essi tentavano di raggiungere il tanto desiderato Nirvana. Tutti i simboli principali del movimento hippy gridavano “rivoluzione”, ed era una rivoluzione che non soltanto andava sentita, ma andava vissuta.

Il clima sociale

Proprio nella metà degli anni Sessanta, il clima in America cominciò a farsi sempre più teso. I bombardamenti del Vietnam nel 1965 aprirono le rivolte, e a ciò si unirono i disordini razziali e i movimenti neri degli stessi anni. Questi movimenti che iniziarono a farsi spazio nella società a suon di proteste per l’ottenimento dei più basilari diritti civili trovarono l’appoggio di molte università del Nord degli Stati Uniti d’America, e le battaglie per il riconoscimento di tali diritti si divisero in due filoni: uno pacifista (guidato da Martin Luther King) e uno più sovversivo (guidato dalle Pantere Nere e da individualità di spicco come Angela Davis e Malcolm X). L’America era sottosopra, l’iconografia dell’opulenza sorta dopo il boom economico cominciava a calare, e fu proprio in questa ferita che si inserì la controcultura degli anni ’60. Quello degli hippy era un affronto troppo grande: la musica, le droghe, le proteste e tutti i movimenti giovanili e culturali del tempo sembravano essersi coalizzati per sferrare l’ultimo e fatale colpo ad una società già di per sé in un apparente stato di anarchia.

Il capolinea del viaggio della controcultura degli anni ’60

A partire dalla fine del decennio, la controcultura degli anni ’60 comincia a mostrare i suoi paradossi e a trovare un’opposizione sempre più forte da parte delle autorità superiori. Le loro lotte contro il consumismo e l’opulenza si scontrarono con una realtà in cui la diffusione di negozi specializzati in droghe psichedeliche e cibi naturali – assieme anche al boom delle vendite degli album musicali e di Woodstock – altro non fecero che creare un consumismo alternativo, forse più profondo, ma pur sempre assimilabile a quello classico. Contemporaneamente, l’opposizione della polizia cominciò a farsi sempre più forte in Inghilterra (dove la controcultura si era diffusa) e negli Stati Uniti d’America. Il clima generale destava preoccupazione a causa del permissivismo e dell’agitazione sociale e politica, e furono costituite delle squadre antidroga volte ad abbattere una volta per tutte il problema del consumo di sostanze stupefacenti. Non fu questo, però, a dare la possibilità alle autorità politiche di porre una volta per tutte la parola “fine” a questo movimento controculturale. In California, nel dicembre del 1969, durante un concerto rock gratuito dei Rolling Stones, i motociclisti degli Hell’s Angels scatenarono la loro furia omicida sulla folla uccidendo un cittadino nero che era lì per assistere allo spettacolo. Poco dopo, nel 1970, la tribù di Charles Manson uccise Sharon Tate nella sua abitazione sferrando il colpo di grazia a una controcultura che si stava ormai trasformando in una triste e macabra parodia di sé stessa. L’America si capovolse, e l’Inghilterra ne approfittò per far circolare le inquietanti immagini provenienti da oltreoceano proclamando un ritorno a delle restrizioni morali per evitare il decadimento della Gran Bretagna.

Quello della controcultura degli anni ’60 fu un viaggio epico, che portò cambiamenti profondi e, allo stesso tempo, una dose di tragedia. Fu un’epoca in cui giovani idealisti cercarono di cambiare il mondo, aprendo la porta a una nuova era di pensiero e azione. Fu l’apice di un urlo generazionale che trovava le sue fondamenta in un’insoddisfazione sociale talmente forte da avere la necessità di esplodere, ma che forse esplose troppo forte per essere controllata. Ad oggi, nonostante il suo declino, questo urlo generazionale resta ancora fortemente vivo e caldo, pronto a ridare voce ad un’intera generazione che, probabilmente, non si è ancora scrollata di dosso la sensazione di essere stata in silenzio per troppo tempo.

Fonte dell’immagine per l’articolo: Wikipedia

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