La festa di Sant’Agata: un viaggio nel cuore di Catania

La festa di Sant'Agata: un viaggio nel cuore di Catania

Se chiedete ad un cittadino di Catania quali siano le cose che più rappresentano la propria città, questo non esiterà a rispondervi: “l’arancino (rigorosamente al maschile), il liotro (l’elefante), e la festa di Sant’Agata“.

Il culto di Sant’Agata, infatti, è molto sentito nel capoluogo etneo, e ad essa è dedicata una grande festa che si svolge i primi giorni di febbraio, e che coinvolge l’intera popolazione cittadina.

La Santuzza

La leggenda racconta che la giovane Agata, di fede cristiana, vivesse nella Catania romana, amministrata dal proconsole Quinziano. Questi aveva ricevuto, dall’imperatore Decio, l’ordine di perseguitare tutti i cristiani e di costringerli ad abiurare la propria fede. Rapito dalla bellezza della fanciulla, il proconsole tentò senza successo di convertirla, affidandola persino alla tenutaria di una casa di piacere per corrompere la sua virtù.

La tenace Agata, però, non demordeva, e non rinnegò mai la propria fede, nemmeno quando Quinziano l’arrestò e la sottopose a crudeli torture. Le furono violentemente asportate le mammelle con le tenaglie, e fu costretta al supplizio dei carboni ardenti, ma rimase incrollabile nella sua fede fino alla morte, avvenuta il 5 febbraio del 251 d.C.

 Le sue spoglie rimasero a Catania fino al 1040, anno in cui furono trafugate dal generale bizantino Giorgio Maniace, che le portò a Costantinopoli. Il 17 agosto del 1126 queste furono riportate in patria da due ex soldati dell’esercito bizantino, Gisliberto, di origine francese, e Goselmo, salentino di Gallipoli, che avevano ricevuto una visione della Santa.

Da allora, la maggior parte delle sue reliquie è conservata nella Cattedrale di Catania, a lei intitolata, e queste sono state protagoniste di numerosi miracoli. Ad esempio, il velo che la Santa indossava al momento della morte è stato portato in processione diverse volte e ha scongiurato la distruzione della città da parte di eruzioni vulcaniche o terremoti.

I catanesi, negli anni, hanno sviluppato una forte devozione per la figura di Sant’Agata, che viene chiamata affettuosamente “a’ santuzza” per la sua giovane età.

La festa

La festa di Sant’Agata comprende tre momenti distinti: la vera e propria festa patronale, che si svolge ogni anno dal 3 al 6 febbraio; la cosiddetta “ottava”, che cade il 12 febbraio, ovvero otto giorni dopo la prima uscita delle reliquie dalla Cattedrale; e la celebrazione del 17 agosto, che ricorda appunto il giorno in cui le spoglie della Santa rientrarono in patria dopo essere state trafugate.

La festa patronale, la più importante, ha inizio in realtà qualche giorno prima, circa l’ultima settimana di gennaio, con le prime apparizioni degli imponenti cerei chiamati “candelore”. Dieci giorni prima dell’inizio della festa, infatti, le candelore iniziano a muoversi nei quartieri di appartenenza e fanno brevi processioni accompagnate da marcette, per poi spostarsi nella Cattedrale il giorno dell’inizio delle celebrazioni.

Le candelore “storiche” sono dodici, e rappresentano specifiche corporazioni o quartieri della città di Catania: infatti, ognuna reca colori e insegne distintive per la propria corporazione, e a seconda di questa assume una posizione specifica nell’ordine della processione.

La particolarità delle candelore è che, pur essendo pesantissime, vengono portate in spalla da un numero variabile di uomini, da quattro a dodici, e questo conferisce loro la classica andatura ondeggiante, come se danzassero al ritmo della banda, che nel dialetto catanese viene chiamata “annacata” (lett. “andatura sculettante”).

Il 3 febbraio

La festa di Sant’Agata comincia il 3 febbraio con la cerimonia dell’offerta della cera, alla quale partecipano le più alte cariche religiose e civili; per l’occasione il Sindaco e i membri della giunta raggiungono il luogo della cerimonia a bordo della settecentesca Carrozza del Senato, in esposizione permanente presso il cortile interno del Municipio.

Dalla chiesa di Sant’Agata alla Fornace, che si pensa sorga sopra l’antica fornace dove Agata fu martirizzata, un lungo corteo preceduto dalle candelore raggiunge la Cattedrale, raccogliendo intanto le candele offerte dai fedeli per chiedere la grazia alla Patrona.

La prima giornata di festeggiamenti si chiude in serata, con un suggestivo spettacolo pirotecnico presso l’imponente Porta Garibaldi, soprannominata dai cittadini “il Fortino”.

Il 4 febbraio

Il 4 di febbraio è il giorno più importante ed emozionante per i fedeli, chiamati “devoti”, perché hanno la possibilità di stare a contatto con la Patrona di nuovo dopo un anno di attesa.

Le celebrazioni si aprono alle 4 del mattino con la Messa dell’Aurora, a seguito della quale il busto reliquiario della Santa viene tirato fuori dal sacello in cui è conservato, e poi issato sul fercolo monumentale adorno di fiori e candele che lo porterà in processione, chiamato “a’ vara”. Uscendo dalla Cattedrale, il carro viene avvolto dall’abbraccio dei fedeli, per l’occasione vestiti con il tradizionale “sacco”, un saio bianco completo di berretto nero, coccarda rossa e fazzoletto bianco da agitare. L’abito dei devoti ricorda la camicia da notte che i catanesi indossavano la notte del 17 agosto 1126, quando furono svegliati dal clamore per il ritorno delle spoglie di Sant’Agata in città.

Il primo percorso compiuto dal busto a bordo del fercolo è chiamato in gergo il “giro esterno”. Il carro, trainato da due pesanti cordoni tirati da file e file di devoti, al grido di “semu tutti devoti tutti, cittadini, viva Sant’Agata!” e preceduto dalle candelore¸ parte dalla Cattedrale e ripercorre i luoghi fondamentali della storia di Sant’Agata, a cominciare dagli Archi della Marina, appena fuori piazza Duomo, che anticamente si trovavano fuori dalle mura della città e che rappresentano le vestigia dell’antico porto da cui salpò la nave del generale Maniace con le spoglie rubate.

Il percorso continua attraversando il lato esterno della città, dalla piazza del mercato fino alla stazione, per poi rientrare al centro storico con la visita alle due chiese simbolo del martirio, Sant’Agata alla Fornace e Sant’Agata al Carcere, della quale si dice sorga sopra l’antico carcere romano dove la giovinetta fu detenuta. Successivamente la processione si dirige alla chiesa di Sant’Agata la Vetere, primo luogo di sepoltura della martire, dove viene celebrata la messa del vespro.

Infine, c’è il passaggio nei quartieri popolari, soprattutto quelli di San Cristoforo e Angeli Custodi, che si conclude in piazza Palestro, dove uno spettacolo pirotecnico sopra Porta Garibaldi saluta il passaggio della Santa. A notte tarda, prima di rientrare in cattedrale, il fercolo affronta l’ultima parte del percorso, ovvero la cosiddetta “Calata della marina”, una strada in discesa che ricollega i quartieri popolari al Porto.

Oltrepassati gli Archi della Marina, facendo attenzione a non urtare la sommità del fercolo contro l’arco, il busto può rientrare nella Cattedrale e concedere a sé stesso e ai devoti un po’ di riposo.

Il 5 febbraio

Il percorso del 5 febbraio, giorno in cui secondo la leggenda la Santa morì, invece, è chiamato “giro interno”, questo perché la processione attraversa le vie barocche della città, partendo sempre dalla Cattedrale.

La mattina si svolge una messa solenne con il clero della municipalità di Catania al completo, ed è solo nel tardo pomeriggio che ha luogo l’inizio della processione del secondo giorno della festa di Sant’Agata.

Stavolta, il fercolo percorre un tratto più breve, limitato alle sole vicinanze di via Etnea, e lo fa più lentamente, per permettere ai devoti di camminare senza rischiare di scivolare sulla cera liquida che cade dai ceri posti sulla vara.

La processione attraversa la città fino a giungere a piazza Cavour, all’estremo nord, dove la vara sarà accolta da uno spettacolo pirotecnico, e poi ridiscende lungo la via principale, via Etnea, per affrontare uno dei punti più difficili dell’intero percorso: la salita di Via Sangiuliano. Si tratta di una salita ripida che collega via Etnea alla sua parallela, il cui tratto richiede grande abilità e fermezza nel manovrare il fercolo, visto che la particolare pendenza, unita alla pesantezza del veicolo, ha causato diversi incidenti anche tragici in passato. Fortunatamente, negli ultimi anni, al meccanismo “a trazione umana” che muove il fercolo è stato aggiunto un motore, in modo tale che per chi tira i cordoni sia più semplice trascinare il carro in cima alla salita.

Superata la salita, è in via Crociferi che si assiste alla porzione forse più suggestiva dell’intero festeggiamento: all’alba (ma alcuni anni, dipendendo dalla lentezza del percorso, anche nella mattinata del 6), il carro si ferma di fronte ad un collegio di suore benedettine di clausura, le quali si affacciano da dietro una grata e cantano per la Santa patrona, nell’unico momento in cui rivedono il mondo al di fuori della clausura.

La mattina del 6, terminato il canto delle suore, il fercolo può ridiscendere verso la Cattedrale, negli ultimi istanti di una celebrazione che unisce l’intera città. Una volta rientrato in Cattedrale, il busto viene fatto girare un’ultima volta verso l’entrata, come se Agata desse un ultimo saluto ai suoi devoti prima di rivederli per l’”ottava” e ad agosto, e poi viene richiuso nel sacello.

La festa di Sant’Agata termina così, tra le lacrime, i fazzoletti sventolati, le grida e i sorrisi dei devoti che, impazienti, non vedono l’ora di poter rivedere il busto sorridente della Santuzza.

L’”ottava” e la festa di Sant’Agata d’agosto

Esattamente otto giorni dopo la prima uscita del busto dalla Cattedrale, ovvero il 12 febbraio, si celebra quella che viene chiamata l’“ottava” di Sant’Agata. Durante l’intera giornata il busto è esposto sull’altare della Cattedrale, e questo dà la possibilità ai fedeli di avvicinarsi e pregare la Patrona, e in alcuni casi è permesso addirittura baciare il busto. Verso sera, inoltre, vi è una brevissima processione del busto in piazza del Duomo, issato su un supporto che viene trasportato in spalla dai devoti.

E la stessa prassi la segue anche la festa del 17 agosto, che ricorda il giorno del rientro delle spoglie della Santa ad opera dei due soldati. Nel tardo pomeriggio, infatti, il busto farà una breve processione nelle vicinanze della Cattedrale, accompagnata da giochi pirotecnici e cori.

Lo spirito della festa

Durante tutte le fasi della festa di Sant’Agata la città è in festa, adornata di fiori e stendardi rossi con la lettera A ricamata; per le strade si mescolano turisti, curiosi e devoti, e si affollano venditori di palloncini, di dolcetti e di frutta secca caramellata, e le pasticcerie espongono in primo piano i pasticcini tipici, le “minnuzze di Sant’Aitae le “olivette”: le prime sono delle mini cassate di ricotta ricoperte da una glassa di marzapane, con una ciliegia candita in cima a ricordare un capezzolo, in ricordo del peculiare martirio della Santuzza; le seconde, invece, sono dei dolcetti di pasta di mandorla colorati di verde, a forma di olive, per ricordare quando Agata, sulla via per essere condotta in carcere, si fermò ad allacciarsi il sandalo e vide crescere davanti a sé un ulivo, carico di frutti, che le diede un po’ d’ombra.

In tutta la città si respira un’aria di comunità e di partecipazione che investe anche chi non è devoto, e forse è anche per questo che la festa di Sant’Agata è la terza festa religiosa più seguita al mondo: perché la festa di Sant’Agata è così, non si può descrivere, si deve vivere.

Fonte per l’immagine in evidenza: Wikipedia

A proposito di Vittoria Patanè

Vedi tutti gli articoli di Vittoria Patanè

Commenta