La propaganda fascista e la manipolazione attraverso la musica

propaganda fascista

Una caratteristica comune dei regimi totalitari è la gestione dei diversi mezzi di informazione e di comunicazione da parte dei leader governativi. Facendo riferimento all’Italia, il Ventennio fascista è stato un periodo di profonda repressione della libertà di opinione e di stampa: articoli, riviste, giornali, quotidiani e cinegiornali dovevano passare sotto il controllo dei gerarchi e del ministro della propaganda per poter essere resi pubblici. Ogni idea che differiva dalla linea tracciata dal regime non era consentita.

La conquista dell’impero
Questa pressione non era esercitata solo sulla stampa, ma anche sulle arti: ampiamente usate a scopo di propaganda furono le canzoni. Mussolini ne comprese l’importanza e decise che Giovinezza (versione del 1925) dovesse essere riprodotta, subito dopo la Marcia reale, in tutte le manifestazioni pubbliche. Ad oggi, infatti, ricordiamo Giovinezza come il secondo inno del regno d’Italia durante il ventennio.

La figura di Mussolini per la propaganda fascista era quella di una divinità: egli era considerato come una guida per tutti gli italiani, un modello da seguire, il padre dei Balilla ma, soprattutto, il capo dello stato, colui che era sempre a servizio della patria. Questa venerazione nei confronti del Duce avveniva tramite le canzoni: egli era costantemente esaltato in quanto creatore del Fascismo ma soprattutto, dal 1936, in quanto fondatore dell’Impero.
La conquista dell’Etiopia venne rappresentata dal regime come un grandissimo successo. Le canzoni di propaganda fascista che festeggiano la conquista sono molte. È doveroso ricordare che queste sono spesso motivetti allegri e all’epoca molto conosciuti, realizzati per promuovere il consenso popolare sulle campagne coloniali italiane eclissando però la brutalità dell’occupazione: nascondendosi dietro la “liberazione” del popolo etiope, per la propaganda oppresso dal leader Hailé Selassié, il Negus, gli italiani si presentarono come liberatori e portatori di civiltà. Per portare a termine rapidamente la conquista e per mostrare agli occhi del mondo intero la propria forza, il regime incentivò l’utilizzo di qualsiasi tipo di arma e non esitò ad autorizzare l’impiego di armi chimiche.

Adua (1935) è un canto di guerra che ricorda la disfatta degli Italiani ad Adua, in Etiopia, del 1896: fu un’umiliazione il fatto che una nazione europea, all’avanguardia dal punto di vista tecnologico, fu sopraffatta dall’esercito etiope. La presa di Adua del 1935 rappresentò, quindi, la rivincita degli italiani. «Adua è conquistata, risorgono gli eroi» ricorda, appunto, gli “eroi” caduti per la patria nella prima battaglia del 1896.

Il più celebre tra i motivetti fascisti è Faccetta Nera, canzone che fa riferimento alle donne etiopi indicandole come belle abissine e le invita ad attendere l’arrivo dei liberatori. La canzone nasce nell’ottica propagandistica di celebrare la colonizzazione e la cessazione dello sfruttamento del popolo abissino da parte di Selassié.

Dopo la conquista dell’Etiopia, la Società delle Nazioni punì l’Italia pesantemente: le sanzioni del 1935 vietarono l’esportazione all’estero di prodotti italiani e all’Italia l’importazione di materiali utili per la causa bellica. Da questo evento storico nacquero le canzoni Me ne frego (1936) e Noi tireremo dritto (1935).

Il titolo della prima deriva da un motto attribuito agli arditi, forze d’assalto che hanno combattuto la Prima guerra mondiale che, dopo le inique sanzioni, diventò un vero e proprio slogan. L’Italia voleva “un posto al sole”, questa era l’espressione utilizzata dalla propaganda del regime per fare riferimento alle colonie africane: la conquista dell’Etiopia era quindi necessaria per ampliare quello che era definito “spazio vitale”. A lungo termine, l’obiettivo era quello di orientare l’emigrazione italiana verso una nuova colonia popolata da italiani. Come risposta alle sanzioni, Benito Mussolini «se ne frega» e continua per la sua strada, «fo’ quel che piace a me».

Noi tireremo dritto rimarca gli stessi concetti focalizzandosi sulla necessità della patria di espandersi e sulla completa devozione al capo dell’Impero: «noi tireremo dritto / faremo quel che il Duce ha detto e ha scritto». La propaganda fece un ottimo lavoro: la fiducia nei confronti del capo era totale. Si volle mostrare, anche tramite l’ironia, che gli italiani non erano abituati ad arrendersi di fronte alle ingiustizie e che erano in grado di soffrire per la grandezza della patria: «Durissima vigilia pei ghiottoni / saranno certo le sanzioni / le pance tonde più non le vedremo ma noi frugali non moriremo…»

Canzoni di Guerra
Il 10 giugno 1940, dal balcone di palazzo Venezia, Mussolini dichiarò guerra alla Francia, ormai sconfitta, e al Regno Unito, portando così avanti la guerra al fianco della Germania NazistaAlla propaganda fascista il compito di fomentare l’odio contro il Regno Unito: l’Inghilterra fu definita «la Maledetta Albione», «una democrazia plutocratica e reazionaria, egoista e rapinatrice», la si denigra senza trascurare nessun’arma, tantomeno la musica.

La canzone Adesso viene il bello (1940), composta dopo la resa della Francia, è incentrata sull’odio contro il nemico inglese e fa riferimento all’attesa sconfitta definitiva britannica contro gli eserciti dell’Asse. Il titolo stesso della canzone si riferisce al fatto che lo scontro con l’Inghilterra era da tempo atteso dal regime.
Il periodo di composizione del testo era quello in cui l’Italia ottenne una serie di vittorie contro gli inglesi, sul continente africano come in mare: ad esempio, nel testo si fa riferimento alla battaglia di Capo Teulada (1940), scontro navale in cui le forze italiane ebbero la meglio sugli inglesi. Furono vittorie di poco conto, ma la propaganda riuscì a sfruttarle in maniera impeccabile: venne data l’impressione o, meglio, l’illusione che l’Italia potesse competere con i britannici e che potesse essere in grado di portare avanti una guerra parallela a quella dell’alleato tedesco.

Fino al luglio del 1943, l’Italia Fascista portò avanti la guerra fianco a fianco con la Germania: una canzone ricorda il comune cameratismo. In questo caso, alla propaganda il compito di rafforzare la fratellanza tra italiani e tedeschi, uniti per la stessa giusta causa: il trionfo finale e la creazione di una nuova Europa libera dalle democrazie occidentali e dal comunismo sovietico. Composta nel 1940, Camerata Richard sottolinea infatti la schietta fraternità d’armi tra soldati italiani e tedeschi: viene narrata, nello specifico, l’accoglienza riservata dal soldato italiano Salvetti Nicola al suo compagno d’armi, un anonimo soldato nazista che egli chiama Richard. Come due veri amici, si scambiano confidenze sulle loro vite private e portano avanti la guerra comune stretti dal fraterno cameratismo. La guerra non li spaventa, anzi, essi combattono insieme fino alla vittoria o alla morte: «Camerati d’una guerra / camerati d’una sorte / chi divide pane e morte / più nessuno scioglierà».

Fonte immagine di copertina: Wikimedia Commons

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