La vita dei mangaka, tra luci e ombre

la vita dei mangaka

La vita dei mangaka, fino a qualche anno fa, era avvolta in una nube di segretezza e mistero. 
Alcune delle opere più famose erano soggette a pause lunghissime dalle quali non sono ancora uscite; artisti scomparivano per periodi incalcolabili e tutto ciò che si sapeva era che stavano prendendo del tempo per riordinare le idee, oppure erano fermi a causa di problemi di salute.
Dall’inizio del ventunesimo secolo, però, grazie al lavoro di alcuni artisti che hanno promosso lo sdoganamento e la normalizzazione dei numerosi problemi legati alla carriera del mangaka, abbiamo guadagnato un paio di occhi in più all’interno di una delle principali macchine da soldi del Sol Levante e punta di diamante del soft power giapponese. 
 
Oltre ai lavori appartenenti al filone Gekiga (immagini drammatiche), affermatasi negli anni ’60 del 1900 come contro-corrente adulta ai manga pop per bambini e ragazzi che all’epoca comandavano il mercato nazionale incontrastati, per sensibilizzare il popolo riguardo problemi sociali trattati scarsamente perché considerati tabù, alcuni illustri mangaka più vicini ai giorni nostri come il compianto Azuma Hideo (appartenente comunque alla vecchia guardia, essendo entrato in azione come professionista nei primi anni ’70), con il suo celebre “Diario della mia scomparsa”, Nagata Kabi, con la sua personale intima trinità composta da “La mia prima volta – My Lesbian Experience with Loneliness”, “Lettere a me stessa (dopo “La mia Prima Volta”)” e “My Alcoholic Escape from Reality”, e Asano Inio con l’introspettivo e semi-autobiografico Reiraku. La Caduta, hanno contribuito a far luce in un armadio stracolmo di scheletri.

La vita dei mangaka è fatta da scadenze impossibili da rispettare, cicli di sonno-veglia praticamente inesistenti e un’opprimente pressione sociale. Tutto ciò è all’ordine del giorno per un fumettista giapponese. Teniamo bene a mente che l’autore di un manga non deve tenere solo a mente il volere della casa editrice per cui lavora, ma anche (e soprattutto) quello del pubblico che acquista periodicamente i suoi prodotti e gli permette di vivere della sua passione. Finché questa non si trasforma in un inferno insostenibile. 
Ormai quasi due anni fa, nel mese di maggio, il maestro Miura Kentarō, autore di Berserk, uno dei lavori a fumetti più apprezzati e conosciuti al mondo, ci lasciava a causa di dissezione aortica, una malattia vascolare rara con un’altissimo tasso di mortalità.
A un’analisi superficiale può sembrare una triste fatalità, ma scavando nelle interviste rilasciate da Miura negli anni precedenti alla sua morte, si scoprono dettagli raccapriccianti: “non sono riuscito ad avere due giorni liberi consecutivi una singola volta, quest’anno”; “sono nuovamente collassato a causa del troppo lavoro”; “non sono stato in grado di vedere i fiori di ciliegio con i miei occhi nemmeno una volta, quest’anno”. 
Sono parole difficilissime da leggere e altrettanto dolorose da processare. 
Il creatore di Berserk non è stata l’unica vittima degli ingranaggi inarrestabili e inflessibili dell’azienda fumettistica nipponica. 
Inoue Takehiko, autore di Slam Dunk, Vagabond e Real ha confessato di aver sofferto un grave esaurimento nervoso dovuto alla doppia serializzazione in contemporanea di due dei suoi principali manga; Togashi Yoshihiro di HunterxHunter e Yu Yu Hakusho ha riportato gravi danni alla schiena; Yokotani Masahiro, Obata Takeshi, e tanti altri hanno parlato delle loro giornate tipo riportando dati agghiaccianti: una media di 3-4 ore di sonno a notte e notti in bianco consecutive, quando sono particolarmente vicini a una scadenza.
Il Giappone, d’altronde, è la patria del Karoshi, il luogo in cui è stato coniato questo termine che indica la sindrome da eccesso di lavoro e le terribili conseguenze a cui può portare, tra cui la morte.
Osamu Tezuka, anche conosciuto come Dio dei manga, ha continuato a disegnare fumetti fino ai suoi ultimi momenti di vita, prima di essere portato via da un cancro allo stomaco. Si dice che le infermiere furono costrette a confiscare i suoi attrezzi da disegno per permettergli di riposare.

Negli ultimi anni la questione, per fortuna diventata di dominio pubblico, sta acquistando una maggiore risonanza e le case editrici sembrano disposte a scendere a patti con i limiti che derivano dall’essere nati umani. 
Sarà un palliativo momentaneo  per allontanare la vita dei mangaka dal mirino del pubblico interesse o un effettivo passo in avanti verso un’etica di lavoro più sostenibile? 
Possiamo solo incrociare le dita e sperare ferventemente che il tempo sia foriero di buone notizie. 

Fonte dell’immagine in evidenza: Pixabay

A proposito di Christian Landolfi

Studente al III anno di Lingue e Culture Comparate (inglese e giapponese) presso "L'Orientale" di Napoli e al I anno di magistrale in Chitarra Jazz presso il Conservatorio "Martucci" di Salerno. Mi nutro di cultura orientale in tutte le sue forme sin da quando ero piccino e, grazie alla mia passione per i viaggi, ho visitato numerose volte Thailandia e Giappone, oltre a una bella fetta di Europa e la totalità del Regno Unito. "Mangia, vivi, viaggia!"

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