La mitologia occidentale è costellata di archetipi e tropi che ritraggono la donna come mostro o come essere soprannaturale: basti pensare alla figura di Medusa, alle sirene, alle streghe del medioevo. Questi archetipi racchiudono tutto ciò che gli uomini trovano minaccioso nelle donne: bellezza, intelligenza, rabbia e ambizione.
Allo stesso modo, anche la mitologia e la tradizione letteraria giapponese hanno costruito nel tempo figure mitiche di donne mostruose: le donne serpente, gli oni, le kitsune, e così via. Uno dei miti più interessanti di cui ci si può riappropriare attraverso una narrazione nuova e femminista è il mito della yamanba, la strega del Giappone. Spogliata dalla misoginia, questa figura appare profondamente attuale, ribelle e sovversiva del patriarcato e dei ruoli di genere.
Il termine yamanba significa letteralmente “strega della montagna” e indica una donna-demone anziana che vive tra le montagne in attesa della sua prossima preda. La yamanba è famosa per divorare giovani uomini che si perdono di notte tra le montagne, o giovani donne incinte, di cui rubano il feto per divorarlo. Ma come nasce questo mito e perché la yamamba, la strega della mitologia giapponese, fa così tanta paura?
Origine del mito
La leggenda è diversificata e complessa: in alcune storie viene presentata come un demone che va a caccia di uomini per divorarli, in altre le sue prede sono giovani donne incinte. Creatura mostruosa che cela una grande bocca all’altezza della fronte, per procurarsi il cibo spesso visita i villaggi, dove occasionalmente può lavorare e anche aiutare gli abitanti del villaggio. La yamamba non divora esseri umani in tutte le leggende: in alcune bruciare il suo corpo morto arricchirà la terra e donerà al villaggio fertilità e raccolti abbondanti. Si dice anche che possa cambiare il suo aspetto a piacimento in quello di una giovane donna o di un animale.
A causa della sua ambiguità e della molteplicità delle sue forme e dei significati che assume, la yamamba è diventata un archetipo in diversi testi letterari. I racconti folcloristici restituiscono l’immagine di una vecchia mostruosa con lunghi capelli grigi che vive tra le montagne, dotata di una forza soprannaturale e del dono della prescienza. La yamamba di questi racconti va a caccia di giovani viaggiatori che si sono persi tra i monti per divorarli, ed ha il potere della metamorfosi: può trasformarsi in animali o può diventare una fanciulla affascinante. La sua preda tenta di scappare e la vecchia strega la insegue tra le montagne per divorarla con una gioia inquietante.
La mostruosità femminile è insita in molti miti, e in particolare l’immagine di una donna demoniaca divoratrice di uomini non è unica al Giappone né alla narrativa pre-moderna: basti pensare alle sirene carnivore o al mito del popolo Tainos della “vagina dentada”. Viswanathan osserva come la delineazione di queste figure fameliche sia legata, ironicamente, alla paura maschile atavica della castrazione.
Il denominatore comune delle diverse versioni che ritraggono la yamamba in tante sembra essere il territorio di demarcazione della strega: la montagna. La yamanba vive tra le montagne o, più precisamente, è una donna che non vive o non può vivere nel villaggio. In questo senso, rappresenta una donna che non appartiene alla comunità o all’istituto della famiglia: è un’outsider femminile pericolosa, poco raccomandabile e il cui potere non può essere domato.
La yamanba: sovversione del mito
La yamanba, seppure appaia nei racconti come una strega spaventosa, vecchia e crudele, in realtà rappresenta tutto ciò di cui gli uomini hanno paura: vive lontana dal villaggio, romita libera tra le montagne, non ha bisogno né di un marito né di figli, non è vittima del sistema patriarcale. La donna del villaggio, una nonna, una madre o una figlia, è una donna di famiglia. Se non è sposata, è la sorella del capofamiglia (e la zia dei suoi figli), quindi in ogni caso appartiene alla famiglia. Tali donne hanno la responsabilità del sistema economico chiamato “famiglia” e allo stesso tempo ne dipendono. Alla periferia di questa società-villaggio c’è il regno della donna che non fa parte della famiglia, ma che comunque dipende dalla società-villaggio per il suo sostentamento. Questo regno è simile ai quartieri a luci rosse del passato, un luogo che demarca e differenzia le prostitute dalle donne del villaggio. Questo regno può essere chiamato prato, in contrasto con il villaggio. Il prato è un luogo necessario per il villaggio, un’area periferica che supporta e regola la vita del villaggio. La donna del prato può entrare nel villaggio a condizione che si trasformi in una donna del villaggio. Per gli abitanti del villaggio, la donna del prato è una specie diversa, ma la sua differenza può essere nascosta, cancellata o disciplinata. La yamamba, invece, si situa al di fuori del villaggio e del prato: rifiuta categoricamente di essere intrappolata in ruoli fissi e vuole decidere liberamente dove vivere. Non solo è una donna che non può essere domata dagli uomini del villaggio, ma nel suo rifiuto di stabilirsi, è una donna che si muove, vaga e ama la libertà. Poiché non può nascondere la sua essenza o indossare una maschera, non può cambiare o essere disciplinata. La montagna è più di un semplice regno culturale diverso da quello del villaggio, è anche un’area che non può essere controllata e si trova al di fuori della giurisdizione del villaggio. Rispetto alla donna del villaggio, la yamanba è una figura che non può essere rinchiusa o addomesticata. E ancora più della donna emarginata del prato, lei esiste al di là della comprensione e del controllo degli uomini, è una donna di una specie diversa che vive in un regno intoccabile.
Si dice di lei che divora i giovani uomini e i bambini, ma la verità è che costituisce un pericolo per la società per un altro motivo: la yamanba è libera dalle catene del sistema familiare patriarcale. Spesso viene ritratta come una donna anziana perché non può più avere figli, o perché probabilmente non li ha mai avuti.
La yamanba, oggi, è un mito che può essere riconsiderato e rivisto in ottica femminista: una donna soprannaturale che vive da sola ai limiti della società, tra le montagne, che costituiscono uno spazio utopico e mitico ancora non raggiunto dal patriarcato: la yamanba non ha bisogno della dipendenza dall’uomo per sopravvivere.
Fonte immagine: Wikipedia.