Lo Stemma Codicum: cos’è e a cosa serve

stemma codicum

Lo stemma codicum: la definizione

In filologia lo stemma codicum è la rappresentazione grafica che corrisponde alla profilazione genetica di un testo mediante l’analisi dei rapporti di parentela tra il soggetto detto archetipo e i testimoni che ne costituiscono la tradizione.

Concetti e metodo dello stemma codicum

Con il nome di stemma codicum è noto il processo di indagine filologica altrimenti conosciuto come metodo di Lachmann dal nome dello studioso Karl Lachmann che nell’ottocento (durante il periodo positivista) lo elaborò e tale metodologia si costituì come momento fondamentale negli antefatti della pubblicazione dell’edizione critica di un testo.

Le fasi attraverso cui procede il metodo lachmanniano sono così ordinate: è necessario, anzitutto, raccogliere e individuare tutti i testimoni che trasmettono l’opera integralmente o parzialmente mediante tradizione diretta, qualora l’opera fosse veicolata da un testo proprio, o indiretta, qualora invece questa fosse veicolata tramite la citazione o il resoconto contenuto in altri testi. A tal proposito è necessario ricordare che moltissime opere dell’antichità ci sono note mediante questa specifica modalità di trasmissione che, per quanto limitata rispetto all’integralità di un testo che ce lo consegna senza mutilazione, non è da considerarsi minore o subordinata per importanza.

Il momento della recensio è dunque quello appena citato del censimento e della valutazione dei testimoni. Si procede successivamente -nel caso in cui la tradizione di un testo si costituisca di più esemplari- con il momento della collatio, ossia un processo meccanico di raffronto tra i vari testimoni e si riversa nella examinatio che valuta le presenze e le assenza dei cosiddetti errori separativi ed errori congiuntivi. I primi segnalano l’indipendenza dal testo in cui compare da quello in cui non è presente, i secondi invece sono un legame genetico tra due esemplari, simbolo della dipendenza dell’uno dall’altro e dunque sono immagine dei rapporti di derivazione e di parentela. Le parole sono da considerarsi in questa ottica filologica alla stregua di molecole e vanno dunque interpretati nella logica di legami e di separazioni vincolanti come quelle delle basi azotate nel complesso e armoniosissimo universo delle strutture del DNA. Ed è importante per il filologo la costruzione e ricostruzione di tali parole per ricongiungersi al complesso e armoniosissimo creato ideale della mente dell’autore.

Si procede dunque con lo studio e l’individuazione di ogni singola lezione sicchè le parole, nella recensio chiusa e nella recensio aperta, discendono da antenati antichissime e procedono di padre in figlio- di amanuense in amanuense, si direbbe, o da copista in copista- per lasciare che l’eredità del passato si converta nel presente e affinché la parola rimanga il verbo dell’essere uomo e il nervo dell’anima sua perché le cose si costituiscono- in fondo- di spiriti che si corrispondono negli oggetti in cui si riversano e a cui danno modo di esistere. Ed è così che la recensio chiusa è quel procedimento mediante il quale si manifesta la concordanza di una lezione tra più testi che ne costituiscono la tradizione, la recensio aperta-al contrario- più difficilmente ci pone di fronte alla considerazione che la stessa lezione non trova raffronti ma in-corrispondenze e allora bisogna procedere, si dice, alla lectio difficilior- per la quale si sceglie la lezione più difficile- /diffrazione in presenza/o all’usus scribendi- per via del quale si sceglie la parola che è meglio affiliabile e trova più facilmente riscontro nei precedenti letterari dell’autore considerati/diffrazione in assenza/. Si procede poi successivamente all’emendatio che corrisponde all’opera di correzione che si effettua su un testo e che procede per ope codicum, eseguita sulla base della collazione, e per ope ingenii, che si esegue invece per congettura.

L’apparato critico, che documenta lo stato della tradizione di un testo, può dirsi positivo o negativo a seconda del caso in cui si documentano le varianti di una certa lezione senza passare per il setaccio semantico oppure non si scrivono le varianti attestate dalla tradizione del testo.

Critica al metodo Lachmanniano

Joseph Bédier, procedendo dal lavoro effettuato sul Lai de l’ombre, comprese che- nonostante le critiche mossegli dal suo maestro Gaston Paris- la sua elaborazione dello stemma codicum a esso relativo era plausibile. Procedendo da tale enunciato, Bédier volle indagare la costituzione degli stemma codicum di altre edizioni lachmanniane e intuì che la maggior parte di essi poteva definirsi bipartito. Dunque, in questa condizione, elaborava il concetto del bon manuscript, criterio secondo il quale occorreva procedere alla scelta del manoscritto migliore che doveva basarsi su un approfondito studio analitico dei testi. Bédier, tuttavia, -come elabora Contini-, non si accorge che un’edizione critica è di fatto un lavoro scientifico.

Paul Maas
nel suo Textkritik-opera che si consolida come fondamentale nel panorama dell’ecdotica e della filologia classica e moderna- introduceva alcune correzioni al metodo lachmanniano introducendo il criterio degli errori-guida e l’articolazione di esso nelle fasi di recensiocollatioemendatio.

Lo studioso Giorgio Pasquali contribuì alla rivalutazione del metodo lachmanniano tentando a sua volta di moderarlo tramite l’introduzione dello studio della storia, ossia dello studio delle condizioni in cui si sono determinate le scelte linguistiche.

Nella sua visione, come pure in quella di Michele Barbi, il testo è un prodotto indivisibile dal lavoro mentale e ideologico di un uomo, seppure filologo, e la certezza solida della condizione storica. Per Barbi, infatti, il metodo Lachmanniano era una premessa fondamentale da arricchire mediante lo studio delle varianti d’autore per mezzo delle quali nemmeno un testo autografo può esentarsi dallo studio critico.

Leggi anche: Lectio difficilior e lectio facilior

Fonte immagine in evidenza per l’articolo sullo “stemma codicum”: Pixabay

A proposito di Arianna Orlando

Classe 1995, diplomata presso il Liceo Classico di Ischia, attualmente studente presso la Facoltà di Lettere all’Università di Napoli Federico II, coltiva da sempre l'interesse per la scrittura e coniuga alla curiosità verso gli aspetti più eterogenei della cultura umana contemporanea, un profondissimo e intenso amore verso l’antichità. Collabora con una testata giornalistica locale, è coinvolta in attività e progetti culturali a favore della valorizzazione del territorio e coordina con altri le attività social-mediatiche delle pagine di una Pro Loco ischitana.

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