Poesie di Giovanni Pascoli: le 5 più belle

Giovanni Pascoli (1855-1912) è stato, insieme a D’Annunzio, il maggior poeta decadente italiano. La sua poesia valorizza il particolare e il quotidiano, recuperando una dimensione infantile (la poetica del “fanciullino”) e primitiva. Le sue opere, come la celebre raccolta Myricae, sono profondamente intrise della sua tormentata biografia, segnata dal lutto per l’assassinio del padre. Analizziamo cinque delle sue poesie più belle.

Le 5 poesie in sintesi: un percorso tematico

Poesia Concetto pascoliano chiave
Temporale Il simbolismo: il “nido” come rifugio dal male del mondo.
X Agosto Il lutto e l’analogia tra il dolore cosmico e quello personale.
L’assiuolo L’inquietudine e la natura come presagio di morte.
Il lampo La rivelazione tragica: la visione sconvolta della realtà.
Novembre L’illusione e la delusione: l’apparenza della vita che nasconde la morte.

Testo e analisi delle poesie più belle

1. Temporale

Un bubbolìo lontano…

Rosseggia l’orizzonte,
come affocato, a mare:
nero di pece, a monte,
stracci di nubi chiare:
tra il nero un casolare:
un’ala di gabbiano.

Analisi: questa lirica è un perfetto esempio di poesia impressionista e simbolica. Pascoli descrive l’arrivo di un temporale attraverso rapide impressioni visive e uditive. Il “nero di pece” del monte simboleggia la minaccia e il male incombente. In netto contrasto, il “casolare” bianco, paragonato per analogia a “un’ala di gabbiano”, rappresenta il “nido” familiare, l’unico rifugio sicuro di fronte alle avversità del mondo.

2. X Agosto

San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla
arde e cade, perché sì gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.

Ritornava una rondine al tetto:
l’uccisero: cadde tra spini:
ella aveva nel becco un insetto:
la cena de’ suoi rondinini.

Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell’ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.

Anche un uomo tornava al suo nido:
l’uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole, in dono…

Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano, in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.

E tu, Cielo, dall’alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d’un pianto di stelle lo inondi
quest’atomo opaco del Male!

Analisi: dedicata alla morte del padre, la poesia è costruita su una potente analogia tra il destino di una rondine e quello del padre del poeta. Entrambi vengono uccisi mentre tornano al proprio “nido” portando cibo/doni per i figli. Questa tragedia personale viene proiettata su un piano cosmico: le stelle cadenti della notte di San Lorenzo non sono un fenomeno naturale, ma il “pianto” del cielo di fronte al male inspiegabile che governa la Terra.

3. L’assiuolo

Dov’era la luna? chè il cielo
notava in un’alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù;
veniva una voce dai campi:
chiù…

Le stelle lucevano rare
tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
com’eco d’un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù…

Su tutte le lucide vette
tremava un sospiro di vento:
squassavano le cavallette
finissimi sistri d’argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s’aprono più?…);
e c’era quel pianto di morte…
chiù…

Analisi: la poesia descrive un paesaggio notturno inizialmente sereno, ma progressivamente turbato da un suono misterioso e inquietante: il verso dell’assiuolo, reso con l’onomatopea “chiù”. Questo suono, ripetuto alla fine di ogni strofa, trasforma le sensazioni uditive in presagi di morte. Diventa un “singulto” che evoca un dolore passato e infine un “pianto di morte”, che sembra chiudere le “invisibili porte” della speranza.

4. Il lampo

E cielo e terra si mostrò qual era:
la terra ansante, livida, in sussulto;
il cielo ingombro, tragico, disfatto:
bianca bianca nel tacito tumulto
una casa apparì sparì d’un tratto;
come un occhio, che, largo, esterrefatto,
s’aprì si chiuse, nella notte nera.

Analisi: il lampo è una rivelazione istantanea e terribile. Per un attimo, squarcia il buio e mostra la vera natura della realtà: una terra “ansante, livida”, un cielo “tragico, disfatto”. La casa bianca (il “nido”) appare e scompare in un istante. L’intera scena è paragonata a un occhio che si apre e si chiude, terrorizzato dalla visione che ha avuto. L’immagine finale è quella di un occhio che si chiude per sempre: un’allusione alla morte del padre e alla perdita improvvisa di ogni sicurezza.

5. Novembre

Gemmea l’aria, il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l’odorino amaro
senti nel cuore…
Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
sembra il terreno.
Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. È l’estate,
fredda, dei morti.

Analisi: la poesia è costruita sul contrasto tra apparenza e realtà. La prima strofa descrive una giornata di novembre così mite da sembrare primaverile (l'”estate di San Martino”). Ma la seconda strofa svela l’inganno: le piante sono “steccchite”, il cielo è “vuoto”. La rivelazione finale è agghiacciante: quella che sembrava una giornata di vita è in realtà l'”estate, fredda, dei morti”, il periodo in cui si commemorano i defunti. La fragile bellezza è solo un’illusione che nasconde una realtà di morte.

Fonte immagine: Pixabay

Articolo aggiornato il: 27/08/2025

 

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A proposito di Rosalba Rea

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