Rodolfo il Glabro e le Historiae | Analisi

Le historiae di Rodolfo il Glabro

Rodolfo il Glabro è autore de Historiae, che ci aiutano a gettare luce sulla leggenda dell’anno Mille, ovvero, quella dell’Apocalisse. 

Rodolfo il Glabro (Rodulphus o Radulphus Glaber), monaco e cronista del secolo XI, nacque in Borgogna verso il 985. Per castigare la precocità irrequieta della sua indole, uno zio monaco lo fece entrare appena dodicenne in un chiostro forse quello stesso di Saint- Germain d’Auxerre – dove finì poi la sua carriera. Pur subendo questa decisione, il suo temperamento gli impedisce di accettare i rigidi dettami che la vita monastica imponeva, ad esempio, afferma, nelle sue Historiae, di essere stato generato nel peccato e forse era figlio illegittimo, forse di un ecclesiastico. L’ingresso in convento è quindi la soluzione migliore per assicurare un tetto al futuro autore delle Historiae. Di lì fu per qualche tempo internato, probabilmente come punizione, nella piccola abbazia di Saint-Léger di Campeaux. Espulso per la sua indisciplinatezza si rifugiò nel monastero di Réome a Moutier-Saint-Jean, nel quale dimorò dal 1004-1005 al 1015, e qui conobbe il santo abate Guglielmo, venutovi nel 1010 a reggerne le sorti. Nel 1024 accompagnò Guglielmo nel suo viaggio in Italia per la dedicazione del monastero di Susa. Dopo un temporaneo soggiorno nell’abbazia di Bèze tra il 1026 e il 1028, egli si separò da Guglielmo, passando nel 1031 a Cluny, allora sotto il governo di Sant’Odilone.

Le Historiae di Rodolfo il Glabro, dopo Historiarum libri quinque, rappresentano senza dubbio il documento di maggior rilevanza per quel che concerne la testimonianza delle atmosfere che si respiravano in Europa all’approssimarsi del nuovo millennio. Il suo carattere turbolento e originale si rispecchia ugualmente nell’opera principale, Historiarum libri quinque, che narrano i fatti dal 900 al 1044. Si trattava di una cronaca personale e aneddotica, dominata da quello stato d’animo esaltato che caratterizza l’età dell’anno Mille. Rappresentante del monachesimo, manca di ogni senso costruttivo e realistico della storia, sempre attento piuttosto ai segni dell’intervento di fattori soprannaturali. Da un lato è simbolista e, dall’altro, con profondo pessimismo teologico, considera la storia come sanguinosa conseguenza del peccato d’Adamo. 

Historiarum libri quinque, manifesto del pensiero di Rodolfo, in realtà non è interamente attribuibile ad una singola identità autoriale. Gli eventi, gli stacchi di scrittura, correzioni di parti del testo sono tutti elementi che lasciano credere che il corpus delle Historiae sia stato scritto in parte dall’autore ufficiale e in parte da monaci amanuensi sotto la sua direzione.

Rodolfo il Glabro, nelle sue Historiae, focalizza la narrazione su quei fatti degni di nota che videro coinvolti i regni di Germania e di Francia, e, quindi, molte delle vicende della sua epoca, accompagnate da prodigiosi avvenimenti e segnali, che potevano peraltro costituire un benefico ammonimento per i fedeli; infatti, quello di Rodolfo non vuole essere esclusivamente un racconto storico, il fine ultimo della sua narrazione è di natura etica e morale. Fare storia significa infatti per Rodolfo condurre una ricerca che, attraverso l’analisi di «prodigi, visioni, miracoli», permetta di comprendere l’azione di Dio nel mondo meglio di quanto potesse farlo una ricostruzione limitata alla sola indagine della realtà; una ricerca, in definitiva, di «exempla, non di verità». Da ciò si può arguire che le Historiae non tramandano necessariamente in maniera puntuale quanto era accaduto nei secoli X e XI, ma ci consegnano la percezione che un monaco cluniacense aveva della società in cui viveva, e della quale coglieva, soprattutto, quelle manifestazioni straordinarie che erano un segno del volere divino.

Le Historiae sono progettate, dunque, per essere costante ricerca della mano di Dio nella storia umana. Secondo l’autore, il genere umano sarebbe incline fin dall’origine al male. Il manoscritto serviva ad edificare l’animo, offriva esempi morali e serviva a mettere in guardia il cristiano contro i pericoli, ed orientarlo verso la retta via. Il monaco borgognone, abituato a scrutare i segni dei tempi, racconta di prodigi e calamità naturali che sembrano rivelare un piano soprannaturale, orrori che la nostra fantasia ha difficoltà a concepire, corruzione, stupri, empietà, guerre, vizi innominabili, epidemie e follie. Egli è convinto che il mondo si stia avviando verso la prossima fine. In questa trama di eventi il monaco cerca un senso. Nel Medioevo del Mille il traguardo è ritrovare Dio. Dunque, a chi vi cerca fatti veri, le Historiae di Rodolfo non possono che riuscire estremamente irritanti.

Fonte immagine: Wikipedia

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