Nel XIX secolo, il passaggio a nord-ovest rappresentava uno dei più grandi misteri della navigazione. Si trattava di una rotta marittima che avrebbe collegato l’Oceano Atlantico con l’Oceano Pacifico, accorciando di molto i tempi delle rotte commerciali tra l’Europa e l’Asia. Le potenze marittime, soprattutto la Gran Bretagna, vedevano in questa impresa un’occasione per consolidare il proprio prestigio scientifico, economico e politico. Fu proprio in questo contesto che, nel 1845, venne organizzata una delle spedizioni più ambiziose e tragiche della storia dell’esplorazione: la spedizione Franklin, guidata dal capitano Sir John Franklin, ufficiale della Marina britannica ed esperto esploratore.
La partenza promettente della spedizione Franklin

Per affrontare i pericoli dell’Artico, la Royal Navy equipaggiò due navi molto moderne per l’epoca: l’HMS Erebus e l’HMS Terror. Entrambe, già utilizzate in precedenti spedizioni polari, furono rinforzate con una robusta corazza di ferro per resistere alla pressione dei ghiacci e dotate di motori a vapore ricavati da vecchie locomotive ferroviarie, una novità straordinaria per l’epoca. Le due imbarcazioni erano dotate di un impianto per la produzione di acqua dolce, riscaldamento a bordo per tutto l’equipaggio e scorte alimentari per almeno 3 anni, comprendenti carne in scatola, tè, biscotti, formaggi, alcolici e dolciumi. Tuttavia, una scelta tecnica apparentemente moderna si rivelò fatale: le scatolette di cibo erano sigillate con saldature di piombo, materiale tossico che, col tempo, contaminò gli alimenti.
La spedizione salpò da Greenhithe, in Inghilterra, il 19 maggio 1845. Sotto il comando di Sir John Franklin, si trovavano in totale 129 uomini, tra ufficiali, marinai e scienziati. Dopo una breve sosta nelle acque della Groenlandia, le due navi furono avvistate per l’ultima volta nel luglio del 1845 nella Baia di Baffin. Da lì in poi, calò un silenzio che divenne presto inquietante.
La scomparsa e i ritrovamenti

Dopo l’ultimo avvistamento nel 1845, non arrivò più nessuna notizia in Inghilterra. Fu proprio Lady Jane Franklin, moglie del comandante, a insistere con forza presso il governo britannico affinché venissero organizzate spedizioni di soccorso. Tra il 1848 e il 1859 vennero inviate decine di spedizioni via mare e via terra, ma solo nel 1850 furono scoperti i primi resti, ovvero, tre tombe sull’isola di Beechey, appartenenti a marinai morti nei primi mesi della missione. Nel 1859, un messaggio ritrovato sull’isola di King William rivelò che Franklin era morto nel 1847, e i superstiti, ormai privi di navi e di viveri, avevano tentato di raggiungere il sud a piedi, nella speranza di trovare soccorso. Ma, in realtà, nessuno di quei 129 uomini riuscì mai a tornare indietro. Le analisi successive sui resti umani rinvenuti lungo il percorso, hanno rivelato che gli uomini, ridotti allo stremo e colpiti da ipotermia, fame, scorbuto e avvelenamento da piombo, si sarebbero spinti a gesti estremi per sopravvivere. Alcuni segni sulle ossa indicano infatti episodi di cannibalismo, praticati probabilmente in condizioni disperate e di totale disumanizzazione. Soltanto tra il 2014 e il 2016, ulteriori ricerche hanno portato al ritrovamento dei relitti quasi intatti dell’Erebus e del Terror nei gelidi mari artici.
Nonostante la modernità dell’equipaggiamento per l’epoca, l’impresa fu comunque travolta dalla potenza del gelo artico. Così la spedizione Franklin, nata dal desiderio di conquistare il passaggio a nord-ovest, si trasformò in una drammatica testimonianza della fragilità dell’uomo di fronte alla natura.
Fonte immagine in evidenza: Wikimedia Commons, Dr.frog (National Archives of Canada)

