Storia della traduzione automatica: dai primi automi all’IA
La volontà dell’uomo di affidare a una macchina un’abilità linguistica complessa ha radici antiche. La storia della traduzione automatica inizia molto prima dei computer moderni, con tentativi filosofici e meccanici di superare le barriere linguistiche.
Le origini medievali: Ramón Llull e la Zairja
Le prime tracce risalgono al 1200, con il filosofo catalano Ramón Llull. Durante i suoi viaggi, incontrò un dispositivo chiamato Zairja, basato sulle 28 lettere dell’alfabeto arabo, ognuna corrispondente a una categoria filosofica. Llull ne creò una versione cristiana, costruendo una macchina che, attraverso la rotazione di dischi di carta, generava frasi per risolvere problemi di teologia e metafisica, senza la necessità di pensare attivamente. Sebbene non si trattasse di traduzione nel senso moderno, rappresentava il primo tentativo di affidare a una macchina un’abilità linguistica complessa.
Il sogno di un linguaggio universale: Cartesio, Leibniz e i precursori
Per favorire la comunicazione e il commercio mondiale, filosofi come Cartesio e Leibniz lavorarono all’idea di un linguaggio universale. Crearono un dizionario basato su codici numerici, chiamato characteristica universalis, un sistema che ambiva a rappresentare i concetti in modo logico e non ambiguo.
La storia della traduzione automatica tra XIX e XX secolo
La macchina analitica di Babbage e Lovelace
A partire dal XIX secolo, sempre più scienziati si dedicarono al concetto di linguaggio universale. Un passo fondamentale fu la creazione della macchina analitica, progettata da Charles Babbage insieme ad Ada Lovelace. Questa macchina è considerata un precursore del computer moderno, in grado di eseguire calcoli complessi.
I primi esperimenti del Novecento
Intorno agli anni ’30 del Novecento, venne ideato il Cervello Meccanico, uno strumento capace di archiviare, recuperare e stampare informazioni, presentato all’Expo di Parigi del 1937. Nello stesso periodo, un ingegnere russo presentò una macchina che traduceva automaticamente, ma con l’aiuto di due traduttori umani: il primo scomponeva la frase di partenza in elementi logici, la macchina li convertiva nella logica della lingua di arrivo, e il secondo traduttore ricomponeva la frase in modo naturale.
La svolta del dopoguerra e la grammatica di Chomsky
Solo negli anni ’50 si iniziò a interrogarsi seriamente sull’utilità e sulla qualità della traduzione automatica. Nel 1954 fu creato un sistema in grado di tradurre in inglese 49 frasi russe, grazie a una memoria di 250 vocaboli e sei regole sintattiche. Sebbene limitato, fu un momento fondamentale. Gli studi proseguirono grazie all’approccio linguistico di Noam Chomsky e alla sua grammatica generativa-trasformazionale, basata sul principio che tutte le lingue condividono delle regole sintattiche profonde. Questo approccio, però, si scontrò con l’ambiguità del linguaggio naturale e la polisemia, che resero ancora più complessi gli studi.
La crisi degli anni ’60 e la rinascita con progetti specifici
A partire dagli anni Sessanta, l’ALPAC, un comitato di scienziati che si occupava di traduzione automatica, vide i suoi finanziamenti tagliati dal governo americano, poiché si riteneva che i progressi fossero troppo lenti. Questo causò un rallentamento degli studi per diverso tempo. Intanto, in Canada, dove vige un bilinguismo francese-inglese, nacque il progetto TAUM, che traduceva automaticamente i bollettini meteorologici. Contemporaneamente, in Europa, nacque il progetto SYSTRAN, utilizzato per tradurre i documenti che circolavano all’interno della Comunità Europea.
Questa lunga e complessa storia della traduzione automatica, fatta di intuizioni filosofiche, ostacoli tecnici e rinascite, ha gettato le basi per le tecnologie di intelligenza artificiale che utilizziamo oggi.
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