Tito, il sisma dell’Ottanta – Intervista a Graziella Carlucci

sisma dell'ottanta

Siamo giunti alla terza intervista in merito al sisma dell’Ottanta che colpì Irpina e Basilicata, che ha come protagonista un nuovo cittadino lucano appartenente al Comune di Tito (PZ).

Il suolo e il sottosuolo lucano sono fragili. Si tratta di una fragilità che condiziona anche la stessa esistenza dell’uomo. I terreni sono di formazione recente, spesso impermeabili, e sono caratterizzati da forti pendenze, soprattutto nelle zone interne. Da ciò derivano le frane, le inondazioni, lo scorrimento di vaste superfici, l’instabilità degli abitati. C’è da aggiungere che l’uomo, nell’ultimo secolo, ha distrutto foreste secolari, ha provocato l’estinzione di numerose specie di animali e ha denudato interi complessi montuosi, accentuando il processo di disgregazione del territorio. Il dramma del territorio lucano è provocato, quindi, dalla trascuratezza degli uomini, da leggi inique e dalla distrazione di governi.
In linea generale si può affermare che man mano che si è sviluppata una scienza delle catastrofi naturali – la quale ha permesso agli uomini di andare oltre una spiegazione mitica delle cause – non si è sviluppata tanto la capacità di prevederle o di minimizzarne gli effetti, quanto piuttosto l’abilità di trarne vantaggi materiali, spesso a detrimento delle vittime stesse. Purtroppo, più si sono consolidate le strutture pubbliche e organizzative intese a portare i soccorsi e a facilitare le ricostruzioni, più tale abilità si è andata raffinando. Lo sciacallaggio istituzionale si è moltiplicato in Italia. Il terremoto in Campania e Basilicata è tristemente noto per la ricostruzione che ha fatto seguito in un paese dotato ormai, rispetto al passato, di ben altre possibilità e di ben altri fondi.

In seguito all’incessante sforzo degli uomini nel tempo, volto a comprendere la natura e a dominarla, ciò che oggi è certo è che sono migliori i principi su cui si fonda la scienza delle costruzioni e vi sono i presupposti per fare attenzione ai terreni su cui si costruisce, agli spazi intercorrenti tra gli edifici e agli effetti dei sismi sulle costruzioni.

Historia magistra vitae!

Il sisma dell’Ottanta a Tito

Intervista a CARLUCCI GRAZIELLA; (46 anni – casalinga); a.2015

(Si sono lasciati il più possibile invariati i modi di esprimersi e il “linguaggio” parlato usato dagli intervistati.)

Cosa serba la sua memoria del drammatico 23 novembre 1980?

La sera del 23 novembre 1980 ricordo che avevo appena finito di cenare con la mia famiglia, quando sentii un fruscio e, immediatamente dopo, ebbi la sensazione di sprofondare e tutto intorno a me iniziò a muoversi e a ruotare. Non avevo percezione di cosa stesse succedendo. Mio nonno e mia madre gridarono che c’era il terremoto e lasciammo di corsa la casa. Una volta fuori notai che anche i vicini si erano riversati in strada. Chi gridava, chi piangeva, chi pregava, era un fuggi-fuggi generale. Noi più piccoli guardavamo gli adulti cercando rassicurazioni che non arrivavano perché a loro volta erano impauriti, spaventati e sperduti. Ci sentivamo tutti impotenti di fronte agli eventi. Erano saltate le linee telefoniche e non c’era elettricità. Sembrava tutto irreale. Iniziammo a organizzarci per trascorrere la notte in strada mentre arrivavano i primi resoconti sui danni prodotti dal sisma. Io e la mia famiglia trascorremmo la notte fuori dal paese in campagna.

Ponendo la suddetta data come spartiacque tra il “prima” e il “dopo”, secondo lei cosa è cambiato a Tito dopo il sisma dell’Ottanta?

Nel post-terremoto a Tito si aprirono vari cantieri, si ristrutturarono le case danneggiate e si ricostruirono quelle demolite. Aumentò il numero di imprese edili sul territorio. C’era più lavoro per tutti: operai edili, venditori di materiale, progettisti, ecc. Le case ricostruite erano decisamente più sicure rispetto a quelle esistenti e, soprattutto nelle zone rurali, la vita migliorò qualitativamente. Dopo un po’, però, il boom creato dalla ricostruzione ebbe fine portando con sé fallimento di aziende ed esuberi del settore.

Attualmente, come le sembra la situazione a Tito a 35 anni dal terremoto, sia dal punto di vista dell’aspetto urbanistico della città, sia da quello di una ricostruzione sociale?

La ricostruzione a Tito, secondo il mio punto di vista, non ha sortito gli effetti sperati. È stata lenta e non ha tenuto conto delle particolarità delle case da ricostruire. Per cui le case, anche quelle antiche, sono state sopraelevate o ristrutturate con cemento armato anche dove c’erano muri in pietra. Sono passati anni prima che i lavori fossero ultimati e i residenti hanno dovuto lasciare le proprie case e organizzarsi in proprio, oppure sono stati alloggiati e difficilmente sono rientrati una volta ultimati i lavori.

Nello specifico, rispetto al 1980, oggi quali sono le condizioni del centro storico della città, la zona più colpita dal sisma dell’Ottanta?

Il centro storico è stato ricostruito con tempi lunghi e spesso non tenendo conto delle strutture e architetture esistenti. Rimangono vecchi borghi con strade strette e gradini per accedervi, ma con case in cemento armato.

La ricostruzione della Chiesa Madre sembra essere una grande delusione per la comunità titese. Perché e cosa si poteva fare di più?

La Chiesa Madre è una grande delusione perché è stata ricostruita sul suolo dove sorgeva la precedente, ma senza conservare nessuna delle caratteristiche preesistenti. Non so che danni avesse subito, ma praticamente è stata rifatta e non ristrutturata.

 

Si ringrazia Carlucci Graziella per la gentile partecipazione!

A proposito di Chiara D'Auria

Nata e cresciuta in Basilicata, si laurea in Filologia Moderna presso l’Università Federico II di Napoli. Scrive per abbattere barriere e scoperchiare un universo sottopelle abitato da anime e microcosmi contrastanti: dal borgo lucano scavato nella roccia di una montagna avvolta nel silenzio alle viuzze partenopee strette e caotiche, dove s'intravede il mare. Scrive per respirare a pieni polmoni.

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