Il borgo di Palomonte: ancestrale e bucolico

Il borgo di Palomonte: ancestrale e bucolico

Tra il territorio dell’Alto Sele e Tanagro, nella provincia di Salerno, sorge sulla roccia (a 550 m s.l.m) fino ad estendersi lungo i fianchi della vallata, il borgo di Palomonte: caratteristico per la sua bellezza naturale e per la forma conica su cui è ubicato il paesino, che si distingue per la tranquillità e l’armonia dei colori che il paesaggio bucolico offre. 

Tra le forme tozze degli alberi d’ulivo che sfilano una dopo l’altra sullo sfondo di un cielo che conserva intatta la sua luce, serpeggiano margini di strade che s’inerpicano sui pendii coltivati: un susseguirsi di elementi naturali e antropici per un totale di circa 28 km² suddiviso nelle 7 frazioni che caratterizzano il paese. 

Anticamente fu chiamata Polo, nome modificato in seguito (per differenziazioni di pronuncia) in “Palo” fino al 1861, poiché dopo l’Unità d’Italia venne aggiunto “monte” su decreto di Vittorio Emanuele II per distinguerlo da altri paesi. 

La piccola comunità sorgeva nei pressi di un lago di circa 2 miglia appartenente fino alla fine del Settecento esclusivamente ai Palomontesi, ma con l’arrivo dei francesi ci fu una rivendicazione territoriale da parte del Comune di Colo (attualmente Colliano), mosso da interessi economici legati alla pesca delle acque interne; tuttavia vi era un diritto di prelazione sul pesce, secondo il quale doveva esser venduto prima ai Palomontesi. Prosciugatosi il lago a fine Ottocento, gli abitanti di Colo si appropriarono definitivamente dei terreni per praticare l’agricoltura e l’allevamento e così i territori conservarono la suddivisione che ancora oggi riscontriamo. 

I luoghi di culto del borgo di Palomonte

Due dei luoghi di culto più importanti del borgo di Palomonte sono la Chiesa di S. Croce, in quanto chiesa madre e la Chiesa di S. Maria della Sperlonga. 

La chiesa di S. Croce si erge nella parte alta del paese, costituita da un’unica navata azzurra e bianca, arricchita da semicolonne incassate nelle pareti laterali che presentano elaborati capitelli corinzi. La torre campanaria è posta nella piazzetta quadrangolare sottostante, dalla quale è apprezzabile un’ampia veduta generale del paesino; inoltre l’edificio presenta un ingresso laterale sul quale è possibile vedere un antico simbolo fallico, segno di fertilità. 

La chiesa fu fortemente danneggiata dai terremoti che si susseguirono nel corso dei secoli, in particolare quello del 1980 che causò il crollo del timpano (frontone) dell’edificio. 

Alle spalle della chiesa, in cima al colle, si scorgono poche mura dell’antico castello di origine longobarda probabilmente innalzato come torre d’avvistamento (durante l’incastellamento del X secolo circa), completamente distrutto anche quest’ultimo dal sisma del 1980. 

La Chiesa di Santa Maria della Sperlonga è invece situata nella zona periferica della campagna: il suo nome deriva dal latino spelunca, “grotta”, tra le quali spicca la più importante: “Grotta Palomba”, antropizzata dalla preistoria e superstite del passaggio di insediamenti umani ravvisabili nei graffiti. 

Sulla parete dell’abside sono presenti degli affreschi di arte bizantina, databili intorno all’XI secolo d.C. raffiguranti vari santi, patrono del paese compreso (San Biagio) e un importante affresco della Madonna Odigitria (dal greco bizantino “colei che indica la via”) che era venerata a Costantinopoli e dai monaci del sud Italia che risalivano i territori della penisola per sfuggire alle persecuzioni religiose dell’Impero d’Oriente.  

Si tramanda inoltre una leggenda popolare legata alla statua della Madonna venerata all’interno del Santuario: secondo la tradizione, durante una nevicata tipica dei mesi invernali, una madre ed il suo bambino videro del fumo addensarsi nella grotta e credendo che all’interno di questa vi fosse qualche tizzone per accendere il fuoco e riscaldarsi, la madre incoraggiò il figlio ad entrarvi; così il bambino vi trovò una donna che gentilmente gli pose del fuoco all’interno della camicia, senza che le fiamme gli bruciassero la pelle. Ritornato dalla madre e raccontandole l’accaduto, presi dalla curiosità di sapere chi fosse la misteriosa donna si affrettarono a rientrare nella grotta e trovarono la statua della Vergine. 

Dopo varie discordie tra Palomonte e Sicignano riguardo a quale dei due comuni dovesse conservare la statua nel proprio territorio, il 15 agosto poco lontano dalla grotta fu trovato un cerchio di neve che stabilì l’appartenenza della statua e successivamente la nascita della cappella nel comune di Palomonte. 

Il sisma dell’Ottanta purtroppo non risparmiò neanche il santuario, e solo nei primi anni del 2000 ci furono interventi di restauro, fra cui la messa in sicurezza del tetto, precedentemente pericolante. 

Anche il centro storico del borgo di Palomonte, imponente e suggestivo, fu devastato dal terremoto. 

Quel che ne resta oggi sono abitazioni dissestate, porte sigillate dal tempo, la pietra viva delle abitazioni custodisce ancora le voci dei bambini che in passato erano soliti giocare affondando i piedi nella giallastra terra fresca appena zappata, o le mille storie di anziani che si radunavano all’alba per scambiare chiacchiere quotidiane prima di proseguire per i campi; mura segnate dalle rughe del tempo, come i volti stanchi delle donne dedite anch’esse al lavoro spossante delle terre e alla lavorazione di una specialità palomontese: i cavatelli, pasta fatta in casa di cui ancora oggi è possibile sentirne l’inebriante profumo tra i viottoli del paese. 

Gli echi del terremoto del 1980

Il terremoto dell’Irpinia si verificò il 23 novembre 1980 e colpì la Campania centrale e la Basilicata centro-settentrionale, con epicentro nelle zone avellinesi e nella vale del Sele: tra le varie zone, il borgo di Palomonte non fu risparmiato. 

Parte del paese crollò, si verificarono molti danni agli edifici del centro storico, i morti furono tre, per molti mesi nessuno rientrò nelle proprie dimore fino a quando dopo qualche anno vennero costruiti dei prefabbricati che accolsero i terremotati.  

Palomonte subì un doppio trauma della rottura, esterno per quanto riguardò i danni causati dal sisma, ed interno per un’economia che in quel momento era sempre più in calo e per gli scarsi aiuti esterni dovuti alle difficoltà di accesso nell’entroterra. 

Ma nonostante tutto la comunità Palomontese si è sempre contraddistinta per lo spirito d’iniziativa, d’unione e di volontà nello scorciarsi le maniche e aiutarsi a vicenda; una rottura che fu dipinta d’oro nei vari punti più fragili grazie alla collaborazione degli abitanti che hanno risanato una ferita divenuta al giorno d’oggi arte. 

Alcune fotografie testimoniano infatti la comunità intenta a onorare le feste patronali e a festeggiare il carnevale sebbene le condizioni fossero precarie tra macerie e abitazioni provvisorie.   

Tradizioni e folclore 

Le tradizioni popolari sono il momento dell’anno in cui Palomonte fermenta di colori, creatività e passione, accompagnate dal duro lavoro condiviso tra le 7 frazioni del paese, chiamate contrade. 

Il primo evento organizzato dalla Pro Loco di Palomonte è la Manifestazione della civiltà contadina, caratterizzata dalla degustazione di piatti tipici, musica e canti popolari e una sfida di carattere sportiva nata con l’intento di riunire tutti i contradaioli, che prende il nome di Palio delle Contrade alla fine della quale viene decretata la contrada vincitrice. 

Lo spirito di competizione che anima le diverse contrade, ma che al contempo le unisce in un momento di confronto e senso di appartenenza caratterizza un altro evento molto sentito tra gli abitanti: Il Carnevale Palomontese. 

Carri allegorici organizzati da ogni contrada con sacrificio e gioco di squadra sfilano per le strade del paese sotto una pioggia colorata di coriandoli, musiche, balli e travestimenti, e che con la minuziosità dei dettagli, dei temi scelti e l’imponenza delle loro strutture incanta migliaia di persone regalando attimi di spensieratezza e gioia a grandi e piccini. 

Palùmondë così chiamata nel dialetto locale è memoria di tradizioni, storia e leggende che ha inciso la propria poesia tra il legno, la pietra e la terra del territorio, rendendola immortale. Un piccolo borgo stravolto dalle calamità, ma che conserva gli effluvi di una vita rinascente nei suoi affascinanti tratti ancestrali.

Foto: Alessandro Iuorio

A proposito di Anna Paolillo

Progetto e realizzo nuovi orizzonti attraverso forme d'arte e comunicazione: ho un debole per i classici, la poesia e la mia stilografica. Ho fatto della tannicità la mia formula di poesia. Laureanda presso la facoltà di Lettere Moderne (Na).

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